Sapete mantenere un segreto?

 

Vi sarà sicuramente capitato che qualche amico o parente vi abbia confidato un segreto. Vi sarà capitato, forse, di averlo spifferato. A volte inconsapevolmente, altre volte di proposito, altre volte ancora per quel gusto, un po’ disdicevole – a mio modesto parere, del pettegolezzo. Attenzione però al lavoro che svolgete: anche insospettabili impieghi potrebbero prevedere, per legge s’intende, il dovere di riservatezza. Insomma: potreste finire nei guai.

 

shut up

 

Il dovere di riservatezza

La professione principe che prevede il dovere di riservatezza è senz’altro la professione medica. In realtà nessuna legge italiana lo prevede specificamente per il medico. Si tratta, più che altro, di un dovere morale: non rivelare senza motivo ciò che il paziente confida durante la raccolta della sua storia. Semplice buon senso, vi pare? A scanso di equivoci il Codice di Deontologia Medica prevede degli articoli ad hoc, come è giusto che sia.

 

“Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell’esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.”

Giuramento antico di Ippocrate

 

 

“Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro: […] di osservare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato; […]”

Giuramento moderno, FNOMCEO 2007

 

 

 

Art. 10 Segreto professionale

Il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò che gli è confidato o che può conoscere in ragione della sua professione.

La morte della persona assistita non esime il medico dall’obbligo del segreto.

Il medico informa i collaboratori e discenti dell’obbligo del segreto professionale sollecitandone il rispetto.

La violazione del segreto professionale assume maggiore gravità quando ne possa derivare profitto proprio o altrui, ovvero nocumento della persona assistita o di altri.

La rivelazione è ammessa esclusivamente se motivata da una giusta causa prevista dall’ordinamento o dall’adempimento di un obbligo di legge. (denuncia e referto all’Autorità Giudiziaria, denunce sanitarie, notifiche di malattie infettive, certificazioni obbligatorie) ovvero da quanto previsto dai successivi artt. 11 e12.

Il medico non deve rendere all’Autorità competente in materia di giustizia e di sicurezza testimonianze su fatti e circostanze inerenti al segreto professionale.

La sospensione o l’interdizione dall’esercizio professionale e la cancellazione dagli Albi non dispensano dall’osservanza del segreto professionale.

(Codice di Deontologia Medica, 2014)

 

Dunque il medico non può rivelare ciò che ha appreso in ragione della sua professione: tutte le possibili confidenze che voi, come pazienti, affidate a lui, devono rimanere segrete. Le uniche eccezioni al mantenimento del segreto sono quelle previste dalla legge per l’esecuzione della denuncia e referto all’Autorità giudiziaria, notifica di malattie infettive, certificazioni obbligatorie.

Rivelare un segreto non solo viola il Codice di Deontologia Medica, ma è anche un reato penale (vedi dopo). Se la violazione del segreto è perpetuata allo scopo di trarne un vantaggio per sé o per gli altri la pena sarà, verosimilmente, più grave.

Attenzione che il segreto professionale si applica anche ai collaboratori del medico: ovviamente l’infermiere e gli operatori sanitari, ma anche, ad esempio, la segretaria di studio medico, così come gli studenti universitari o tirocinanti, che in virtù della loro posizione di discenti vengano a conoscenza della situazione di salute di un determinato paziente.

 

Art. 11 Riservatezza dei dati personali.       

Il medico acquisisce la titolarità del trattamento dei dati personali previo consenso informato dell’assistito o del suo rappresentante legale ed è tenuto al rispetto della riservatezza, in particolare dei dati inerenti alla salute e alla vita sessuale.

Il medico assicura la non identificabilità dei soggetti coinvolti nelle pubblicazioni o divulgazioni scientifiche di dati e studi clinici.

Il medico non collabora alla costituzione, alla gestione o all’utilizzo di banche di dati relativi a persone assistite in assenza di garanzie sulla preliminare acquisizione del loro consenso informato e sulla tutela della riservatezza e della sicurezza dei dati stessi. (Codice di Deontologia Medica, 2014)

 

top secret

 

Il medico, che entra in possesso dei vostri dati sensibili, li custodisce nella maniera più sicura possibile per evitarne la loro impropria divulgazione. Li custodirà sicuramente in luoghi non accessibili a tutti, oppure, nel caso di una banca dati computerizzata, li proteggerà con appositi sistemi di crittografia.

Inoltre, nel caso in cui vi capitasse di partecipare a uno studio clinico, sappiate che nessun vostro dato personale anagrafico e sensibile verrà divulgato impropriamente, ma verranno utilizzati solo dati clinici inerenti allo scopo dello studio.

 

 

 

 

Il dovere di riservatezza nel Codice Penale

 

Forse non tutti sanno che il dovere di riservatezza non è contemplato solamente nel Codice di Deontologia Medica, ma anche nel Codice Penale, che dev’essere rispettato da tutti i cittadini, non solo dai medici, come nel caso del Codice Deontologico.

 

Tant’è vero che l’Articolo 622 del Codice Penale non fa alcuna menzione della professione medica o di altre professioni in particolare:

 

 

Art. 622 C.P. Rivelazione del segreto professionale.

Chiunque, avendo notizia per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

A ben leggere infatti, l’articolo esordisce con “Chiunque…”: il legislatore non si riferisce al medico in particolare, ma a tutti i cittadini. Ad esempio: un fotografo che nello svolgimento della sua attività si dovesse accorgere di un difetto fisico della persona che sta fotografando, è tenuto a non rivelare quel difetto fisico, soprattutto nel caso in cui dalla rivelazione ne possa derivare danno della persona offesa. Lo stesso vale, altro esempio, per l’estetista che si dovesse accorgere di una particolare caratteristica fisica: in ragione della sua professione è tenuta a non rivelare quella particolare caratteristica o difetto, soprattutto se questo potrebbe danneggiare in qualsiasi modo il cliente.

Cosa vuol dire “proprio stato”?

La propria posizione sociale/familiare. Ad esempio il coniuge, figli o familiari del medico, eventuali collaboratori di studio, personale domestico. Attenzione mogli o mariti di professionisti sanitari: se sentite per casualità sentita discutere di un paziente, siete tenuti anche voi al segreto! Così come i collaboratori che leggono determinati dati clinici nello studio medico, mentre fanno il loro lavoro: se questi vanno a raccontare i fatti di cui vengono a conoscenza sono loro che violano il segreto, non il medico.

Cosa si intende per “segreto”?

Qualsiasi aspetto della vita privata dell’assistito, che egli ha interesse a non far conoscere, di cui il medico sia venuto a conoscenza per motivi professionali. Aspetti della vita privata del soggetto che non sono conosciuti dalla maggior parte delle persone. Il segreto professionale non si limita ai dati sulla salute: se il paziente confida al medico altri aspetti della sua vita, anche questi sono coperti dal segreto professionale. Questo perché il paziente racconta le sue confidenze mentre il professionista è nel suo status di medico. Tutto ciò che il medico sente mentre ha il camice è un segreto.

 

Cosa si intende per “rivelare”?

Overo lo comunica a una persona qualsiasi, senza giusto motivo. È invece lecita la trasmissione, cioè l’affidamento della notizia a una persona essa stessa vincolata al segreto professionale e motivata dal dovere di cura verso il paziente o da un dovere d’ufficio. È possibile trasmettere il segreto solo se vi sono finalità curative: si può tranquillamente chiedere in tal caso un consulto ad un collega, mantenendo l’anonimato del paziente. Se invece c’è bisogno di dire chi è il paziente, allora bisogna prima chiedere il consenso a questo. È possibile discutere del caso clinico con i colleghi o il personale del reparto, o altri specialisti, ma non si può rivelare il segreto a qualsiasi collega, solo in virtù del fatto che sia tale.

 

Qual è la “giusta causa”?

La rivelazione o la trasmissione delle notizie coperte da segreto professionale devono perpetuare uno scopo ben preciso. Le cause che consentono la rivelazione del segreto professionale sono di due tipi:

  • Cause imperative: imposte da una norma di legge, come referto, denuncia, certificati, perizie, ispezione corporale, visite medico-legali di controllo. Sono le norme che impongono al medico di riferire un dato fatto all’Autorità competente in determinate situazioni.
  • Cause permissive: che consentono, ma non obbligano alla rivelazione. Ad esempio il paziente a cui non importa che le sue notizie cliniche vengano divulgate. In questo caso, comunque, il dovere morale impone al medico il silenzio, a meno che non ci sia una necessità oggettiva.

 

Cosa vuol dire “può derivarne nocumento”? Ossia se la rivelazione di tale segreto potrebbe creare un danno alla persona offesa. È un cosiddetto “reato di pericolo”.

 

 

L’aspetto interessante è che il dovere di riservatezza è talmente tutelato che il Codice di Procedura Penale prevede la non obbligatorietà della deposizione per i professionisti che debbano mantenere il segreto professionale:

 

Art. 200 C.P.P. Segreto professionale.        

  • Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto in ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria: a) i ministri di confessioni religiose […]; b) gli avvocati […], i consulenti tecnici ed i notai; c) i medici e chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria […]

 

Questo articolo prevede che, se il caso non rientra in quelli in cui si è obbligati a eseguire la denuncia all’Autorità Giudiziaria, il giudice non può imporre al medico di dire di che cosa soffre un paziente. Se un giudice chiede il motivo di una determinata procedura medica, il medico non è obbligato a rispondere. A meno che il medico non si trovi di fronte ad una situazione che prevede per legge la compilazione di un referto, una denuncia o quant’altro. Allo stesso modo del medico, anche l’infermiere, il fisioterapista o chiunque altro eserciti una professione sanitaria ha tale diritto.
È chiaro, tuttavia, che se il giudice sospetta che dietro questo diritto ci sia qualcosa di illecito, può procedere imponendo la rivelazione del segreto.

 

Insomma, è proprio il caso di dirlo: quando si viene a conoscenza di un segreto, è meglio cucirsi la bocca!

Insomma, è proprio il caso di dirlo: quando si viene a conoscenza di un segreto, è meglio cucirsi la bocca!

 

 

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