Autore: scarpisenrico

Medichese: epigastrio

L’approccio al paziente con una problematica riferita all’addome non è banale e spesso la diagnostica presenta difficoltà non da poco. Spesso per arrivare alla diagnosi corretta è necessario ricorrere a una diagnostica più approfondita, come quella laboratoristica (esami del sangue o delle urine) e strumentale (ecografia, TC, risonanza magnetica). Ciò non toglie che la visita medica sia imprescindibile. In particolare l’indagine semeiologica spesso fornisce elementi preziosi ai fini del sospetto clinico e degli step diagnostici successivi.

 

Particolare attenzione va posta alla localizzazione topografica dei rilievi obiettivi, al fine di stabilire a quale/quali organo/i i disturbi riferiti dal paziente sono attribuibili. Ecco perché l’addome è stato suddiviso in quadranti dagli antichi anatomici e dai medici che per primi hanno sviluppato la semeiotica medica, ovvero la branca della medicina che studia i segni e i sintomi delle patologie.

 

L’addome non deve essere inteso solamente come “la pancia” (volgarmente – anteriore), bensì necessita di una visione d’insieme che prevede l’attenzione anche alle porzioni laterali (“il fianco”) e la parte posteriore (“la schiena”). Dunque sia “la pancia”, che “il fianco”, che “la schienafanno parte dell’addome. La parete anteriore dell’addome è delimitata in alto dalla linea toraco-addominale, che segue l’arcata costale (linee verdi), e in basso da una linea che parte dalla spina iliaca antero-superiore arriva alla sinfisi pubica (linee gialle). Lateralmente è delimitato da delle linee che partendo dalla spina iliaca anterior-superior sale verticalmente fino ad incontrare l’arcata costale (linee blu). Lateralmente l’addome è delimitato superiormente sempre dall’arcata costale ed inferiormente dalla cresta iliaca. Mentre posteriormente è delimitato superiormente dal margine inferiore della XII costa, inferiormente da una linea che congiunge le due spine iliache anterior-posterior, passando per la V vertebra lombare, e lateralmente dalle linee ascellari posteriori. Questi sono solo i limiti “esterni”, in quanto la cavità addominale continua internamente nel cavo pelvico, venendo delimitata in basso dal piano perineale, così come in alto viene limitata dal diaframma, per cui parte del contenuto addominale viene a trovarsi dentro la gabbia toracica, cotto le coste (come ad esempio il fegato a destra e la milza a sinistra).

 

Tracciando quattro linee immaginarie è possibile suddividere l’addome in nove quadranti. Le linee verticali vengono tracciate a partire dal centro della clavicola, andando verso il basso; mentre quelle orizzontali sono rappresentate dalla più superiore che unisce le arcate costali, e dalla più inferiore che unisce le due spine iliache anteriori-superiori (linee rosse). Le nove zone che si ottengono sono, nell’ordine da destra verso sinistra e dall’alto verso il basso: ipocondrio destro, epigastrio, ipocondrio sinistro, fianco destro, mesogastrio o regione ombelicale, fianco sinistro, fossa iliaca destra, ipogastrio, fossa iliaca sinistra. La regione posteriore è divisa dalla linea che passa per le apofisi spinose delle vertebre in destra e sinistra, regioni a loro volta divise in lombare interna o renale e lombare esterna. La regione laterale è divisa in anteriore o posteriore dalla linea ascellare media.

 

 

L'addome suddiviso in nove quadranti.

L’addome suddiviso in nove quadranti.

 

La suddivisione in quadranti permette un approccio sistematico alle problematiche addominali, come ad esempio il dolore. Questo perché la localizzazione del dolore o di qualsiasi altra problematica può indirizzarci su quale/quali organo/i potrebbero essere ammalati.

 

 

L’epigastrio è quindi il quadrante mediano, compreso lateralmente tra i due ipocondri, delimitato superiormente dalla linea toraco-addominale, che lo divide dal torace, e che si pone superiormente alla regione ombelicale o mesogastrica.

 

 

Da: Vocabolario Treccani

Da: Vocabolario Treccani

 

L’epigastrio corrisponde parte del lobo destro e gran parte del lobo sinistro del fegato, alla colecisti, a parte dello stomaco e del duodeno, alla parte supero-mediale dei reni, al tratto alto dell’aorta e della vena cava inferiore, al plesso nervoso celiaco.

 

Corrispondenza anatomica tra la regione epigastrica e gli organi addominali.

Corrispondenza anatomica tra la regione epigastrica e gli organi addominali.

 

 

Un dolore nella regione epigastrica potrebbe essere dovuto ad una gastrite, ad un’ulcera peptica gastrica o duodenale, al reflusso gastro-esofageo (sintomatologia nota come pirosi), ad una pancreatite. Tuttavia il dolore non è sempre uguale, esistono diversi tipi di dolore, con diverse caratteristiche ed andamento temporale, associati anche ad altra sintomatologia (nausea, vomito, ecc) o a segni clinici, che il medico rileva durante la visita medica. È difficile per i non addetti ai lavori riuscire a capire a fondo le problematiche addominali e a poter risalire alla causa, perché questo richiede non solo anni di studio sui libri (di diverse materie), ma anche una certa esperienza in corsia, la conoscenza dei rilievi semeiologici obiettivabili durante la visita medica, e soprattutto un ragionamento clinico che si acquisisce col tempo.

 

 

In conclusione, la suddivisione dell’addome in quadranti aiuta il medico ad affrontare con metodo rigoroso la problematica relativa agli organi contenuti in cavità addominale. Il medico formula un’ipotesi diagnostica indagando i sintomi del paziente, avvalendosi dei rilievi clinici obiettivabili durante la visita, trovando conferma (o smentita) diagnostica negli esami di laboratorio o strumentali. Egli, di conseguenza, imposterà una terapia appropriata, medica o chirurgica che sia.

 

 

Fate attenzione: questo è un blog esclusivamente divulgativo.

Non è nostra intenzione proporre possibili diagnosi o terapie. Gli articoli che pubblicheremo hanno lo scopo di spiegare tematiche mediche in modo comprensibile a tutti, senza, però, avere la presunzione di esaurire l’argomento in poche righe senza dare alcun tipo di consiglio medico. Vi invitiamo a rivolgervi al proprio medico curante, ai farmacisti e a tutti gli altri specialisti qualificati per chiarire qualsiasi dubbio riguardante la vostra salute. Il rapporto di fiducia, di stima reciproca e di confidenza tra medico e paziente deve essere sempre coltivato e salvaguardato con il massimo impegno possibile.

 

 

photo credit addome diviso in quadranti (modificata): <a href=”http://www.flickr.com/photos/14277117@N03/4484192937″>Abdomen between pages 4 and 5</a> via <a href=”http://photopin.com”>photopin</a&gt; <a href=”https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/”>(license)</a&gt;.

photo credit addome ed organi addominali (modificata).

Caso Avastin Lucentis: facciamo il punto

 

di Edoardo Romano*

 

In questi ultimi mesi si è fatto un gran parlare sui media di due colossi farmaceutici, portando all’attenzione del grande pubblico uno scandalo che mina la credibilità dei due protagonisti: Novartis e Roche. I TG denunciano un accordo fra le due società allo scopo di favorire la vendita di un farmaco costoso a discapito di uno molto più economico. Cerchiamo di fare un po’ di luce in questa oscura vicenda.

 

Questa truffa sfrutta una grave malattia dell’occhio, la maculopatia[1], un termine generico per indicare le malattie che interessano la macula. Questa è la parte centrale della retina, un dischetto dal diametro di 6 mm. Al suo centro si trova la fovea, la regione della retina con la più elevata densità di coni, i fotorecettori deputati alla visione centrale ad “alta risoluzione” e alla percezione dei colori.

 

Anatomia dell'occhio umano: schema.

Anatomia dell’occhio umano: schema.

 

Una delle cause della maculopatia è la rottura dello strato epiteliale che divide la retina dalla rete di vasi sanguigni sottostante (coroide). Attraverso queste crepe i vasi sanguigni della coroide raggiungono la macula, crescendo in maniera incontrollata (neovascolarizzazione coroidale, CNV). L’emorragia che ne segue danneggerà i fotorecettori causando deformazione e distorsione della visione centrale.

 

Nella degenerazione maculare essudativa o umida, si formano, al di sotto della macula indebolita, alcuni vasi sanguigni anomali che possono lasciar facilmente fuoriuscire del liquido essudativo (plasma) che danneggia le cellule fotosensibili della macula.

Nella degenerazione maculare essudativa o umida, si formano, al di sotto della macula indebolita, alcuni vasi sanguigni anomali che possono lasciar facilmente fuoriuscire del liquido essudativo (plasma) che danneggia le cellule fotosensibili della macula.

 

Per la cura ci vengono in aiuto le conoscenze accumulate in un campo in cui abbiamo molta più esperienza: quello oncologico.

Ora, la domanda sorge spontanea: cos’ha in comune un tumore con una malattia che provoca problemi alla vista? La risposta è l’angiogenesi, ovvero il processo che porta alla formazione di vasi sanguigni. Nel cancro l’angiogenesi è un processo fondamentale per la sua sopravvivenza: senza i nutrimenti trasportati dai vasi sanguigni creati ad hoc, le cellule tumorali, come quelle di qualsiasi altro tessuto, avvizziscono e muoiono. Una delle strategie utilizzate dalla chemioterapia è infatti quella di bloccare la crescita di nuovi vasi per “affamare” il tumore.

Ritornando alla maculopatia umida, abbiamo visto che il danno è causato dalla crescita incontrollata di capillari nella zona dove si trovano i fotorecettori. L’idea è quindi di utilizzare un farmaco antiangiogenico per impedire la neovascolarizzazione coroidale. Nel 2004 entra in gioco Avastin (bevacizumab), un anticorpo monoclonale di proprietà della Roche, utilizzato per il trattamento del cancro al colon-retto, del carcinoma alla mammella e ai polmoni. Questa molecola va ad inibire la proteina VEGF, acronimo di Vascular Endothelial Growth factor, che come dice il nome stimola la formazione di nuovi vasi.

 

Pensateci, usare un antitumorale per curare la vista! Chi ha avuto questa intuizione è Napoleone Ferrara, catanese d’origine, scopritore del ruolo del VEGF nei tumori[2] e vincitore del prestigioso Lasker Award, una sorta di premio Nobel americano.

Il nostro connazionale ha migliorato la vita a molte persone, scoprendo come fanno i tumori ad alimentarsi e trasferendo, in seguito, queste conoscenze alle malattie della retina: Avastin, sviluppato dal suo gruppo di ricerca, funziona molto bene anche nel migliorare la vista[3][4].

 

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Un farmaco come questo, che viene prescritto anche per un uso diverso da quello per cui è stato creato, viene definito off label. E’ una situazione molto comune: un quinto dei farmaci in commercio hanno un loro utilizzo off label[5]. Questo tipo di prescrizione è, comunque, ben regolamentato[6][7][8][9][10].

Questo vuol dire che, nel bugiardino di Avastin, non viene menzionato l’uso per il trattamento della maculopatia.

 

E qui cominciano i problemi: Roche decide stranamente di non chiedere l’estensione dell’utilizzo nel campo oftalmico. Due anni dopo, nel 2006, la Novartis mette in commercio Lucentis (ranibizumab), un anticorpo monoclonale derivato da Avastin, sviluppato anch’esso dal nostro Napoleone. Questo è specifico per il trattamento della degenerazione maculare umida e dovrebbe penetrare meglio, grazie alle sue dimensioni minori, nella retina. Ottimo, no? Un nuovo farmaco, forse migliore, progettato apposta per la maculopatia (prescrivere off label è un po’ una scocciatura, in quanto comporta problemi etici e maggiori responsabilità da parte dei medici che li prescrivono).

Ma la cruda realtà non tarda a farsi sentire. Non solo Lucentis è molto più costoso (una dose di Avastin ha un prezzo tra i 15 e gli 80 euro, mentre Lucentis viaggia intorno ai 900) ma quintali di studi provano che l’efficacia del farmaco è equivalente al precedente[11][12][13][14].

 

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A questo punto è lecito domandarsi: “ok, ma chi me lo fa fare di assumere Lucentis? Se posso scegliere continuo utilizzare Avastin, che funziona e costa poco!” Giustissimo. Il fattaccio avviene nel 2012, quando l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) esclude Avastin dalla legge 648/96, che comprende tutti i farmaci off label da utilizzare quando non vi è alternativa terapeutica valida; ed è proprio Lucentis l’ ”alternativa valida”. Secondo l’AIFA, la decisione è stata presa a causa della concomitante presenza di Lucentis, specificamente studiato e registrato per l’uso intravitreale, e per i maggiori effetti collaterali di Avastin. Eppure nel 2012 erano già stati pubblicati tre lavori scientifici indipendenti che provavano l’equivalenza di efficacia e sicurezza fra i due farmaci[15][16]. L’unico rischio effettivo nell’utilizzo di Avastin riguarda il rischio di contaminazione del medicinale e conseguente infezione oculare: l’utilizzo off label comporta infatti il frazionamento del flacone, la cui dose è specifica per il suo utilizzo come antitumorale (per risolvere questo problema basterebbe creare confezioni monouso).

Con un prezzo 50 volte maggiore del suo predecessore, il nostro servizio sanitario si rende conto di non riuscire a farsi carico delle spese di Lucentis, che supererebbero i 600 milioni di euro all’anno (in Italia ci sono 385 mila casi di maculopatia umida). La soluzione più semplice è far pagare l’intero trattamento al cittadino. La magra consolazione è che possiamo vantare i prezzi più bassi d’europa.[17]

 

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In questa vicenda la nostra agenzia del farmaco si è trovata con le mani legate, risultando impotente davanti alle pressioni di Roche nello scoraggiare l’uso del farmaco off label e non potendo tantomeno cambiare la modalità di prescrizione di Avastin. Hanno avuto il loro peso anche i timori di azioni legali nel caso di effetti collaterali: per un off-label, infatti, le conseguenze di eventuali danni al paziente sono a carico di medici e agenzie del farmaco.

A ciò si aggiunge la considerazione generale che spesso non esistono solide evidenze scientifiche per l’uso off label di un farmaco (anche se in questo caso ci sono, eccome!).

 

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Curiosità: per queste vicende Avastin è diventata la prima “not me drug” al mondo[18], ovvero un farmaco che, pur essendo adatto per il trattamento di una patologia, non può essere prescritto. Si contrappone alle “me too drug”, farmaci chimicamente simili e con lo stesso meccanismo d’azione prodotti da diverse case farmaceutiche.

 

 

Ma torniamo al caso: dopo queste vicende arriva un’indagine dell’Antitrust. Cosa scopre? Che Roche e Novartis hanno concertato sin dal 2011 una differenziazione artificiosa dei farmaci Avastin e Lucentis presentando il primo come più pericoloso del secondo per l’utilizzo oftalmico. Di conseguenza Roche, con la commercializzazione di Lucentis (che è della Novartis), incassa royalites per l’utilizzo del loro principio attivo. E non solo: Novartis partecipa per il 33% al capitale della Roche, e quindi ne condivide gli utili.

Il 27 febbraio 2014, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva ritenuto che le due società avessero posto in essere una intesa anticoncorrenziale volta a ottenere una “differenziazione artificiosa” dei farmaci Avastin e Lucentis, “manipolando la percezione dei rischi dell’uso in ambito oftalmico di Avastin”. In particolare, la differenziazione dei due prodotti sarebbe avvenuta “enfatizzando i profili di sicurezza relativi all’uso intravitreale di Avastin (off-label) attraverso la produzione e diffusione di informazioni miranti a condizionare le scelte dei medici cui competono le decisioni terapeutiche e la scelta dei relativi farmaci”.

Secondo l’AGCM, quindi, “in presenza di due farmaci equivalenti sotto ogni profilo in ambito oftalmico, le due imprese hanno artificiosamente differenziato i prodotti, svalutando le contrarie acquisizioni scientifiche, al fine di promuovere il prodotto più costoso (Lucentis), dalle cui vendite derivano profitti per entrambe le società, e impedire, o comunque limitare, l’utilizzo di quello meno costoso (Avastin)”. In tal modo, l’intesa avrebbe consentito “la massimizzazione dei profitti di tutte le imprese, in ragione dei complessi rapporti commerciali intercorrenti tra i gruppi Roche e Novartis“. Di lì la comminazione di sanzioni ai due gruppi farmaceutici, per circa 90 milioni di euro l’uno (una multa irrisoria, visti i profitti dei due colossi).

Le due case farmaceutiche hanno comunque presentato ricorso alla sanzione, ricorso che è stato rigettato dal TAR del Lazio il 2 dicembre scorso.

 

La posizione delle Big Pharma sembra indifendibile, ma mi piace fare l’avvocato del diavolo e proviamo a sentire l’altra campana. In questo video (ci sono belle animazioni, guardatelo!) un ricercatore parla della maggior tossicità di Avastin citando uno studio pubblicato nel Canadian Journal of Ophtalmology. Questo evidenzia non solo una probabilità 12 volte maggiore di sviluppare infiammazioni oculari rispetto a Lucentis, ma anche una minore efficacia (causando addirittura diminuzione della vista) rispetto al competitore. E’ un dato forte, una prova schiacciante, ma analizziamo brevemente il lavoro: innanizitutto esistono, oltre a quelli che ho citato prima, moltissimi studi che affermano l’equivalenza, sia come efficacia che come effetti collaterali, dei due farmaci. Facendo un parallelismo, è come se 9 medici diagnosticassero ad un paziente una certa malattia e uno solo dissentisse: a chi sareste portati a credere? Ovviamente al giudizio unanime dei 9 medici. Potrebbe venirci qualche dubbio se il medico controcorrente fosse un grande luminare: allo stesso modo se l’articolo in questione appartenesse ad una rivista prestigiosa saremmo più portati a ritrattare la nostra tesi; nelle riviste scientifiche si usa esprimere l’autorevolezza di una rivista con l’Impact Factor (IF), un punteggio dato dal numero di citazioni ricevute (e altri fattori come la presenza di una peer review). Ad esempio, se una rivista nel 2014 ha un IF di 3 vuol dire che gli articoli pubblicati nei due anni precedenti sono stati citati 3 volte. Pur essendo un’indicatore piuttosto impreciso, vediamo che Il Canadian Journal of Ophtalmology ha un IF di 1,1. Una buona rivista è attorno a 5, e le più importanti (come Cell, Nature e Science) viaggiano sui 30-40.

 

 

Ricapitolando, abbiamo una ricerca che va contro la maggioranza pubblicata da una rivista non particolarmente affidabile. Lo studio effettuato, inoltre, è retroprospettico; questo comporta che le persone coinvolte nel trial clinico non sono state seguite dai ricercatori: questi si sono limitati a raccogliere i dati dall’ospedale e ad analizzarli. Questa tecnica, pur essendo rapida da eseguire (il tempo necessario all’accadimento degli eventi è già trascorso) non è particolarmente precisa, visto che le caratteristiche dei soggetti, i dati raccolti e gli esiti misurati sono definiti prima dello svolgimento dello studio. Nel paper inoltre non sono riuscito a trovare le dosi dei due farmaci iniettati: mi auguro quindi che siano quelle utilizzate di routine e non siano state cambiate ad arte per evidenziarne gli effetti collaterali, ad esempio.

Ah, quasi dimenticavo: lo studio è stato finanziato dalla Novartis.

 

Vediamo un secondo caso, di poco tempo fa: in questo articolo[19] Roche giudica incompleta la ricerca effettuata dalla Cochrane Collaboration[20] (una prestigiosa iniziativa no profit che analizza e valuta lavori scientifici), rispondendo con un’analisi presentata ad un congresso sull’angiogenesi oculare di Miami che evidenzia una maggiore sicurezza da parte di Lucentis.

Il bello di citare dati presentati ai congressi è che possono non essere definitivi e non devono necessariamente essere stati pubblicati da qualche parte: la ricerca in questione infatti non si trova neanche su Internet. In compenso, googlando l’autore del fantomatico studio, un certo Usha Chakravarthy, ho trovato una sua ricerca[21] in cui equipara Avastin e Lucentis sia sul piano dell’efficacia che della sicurezza. Mah!

 

 

Che cosa possiamo trovare di positivo da questa brutta vicenda? Beh, sembra che si stiano prendendo provvedimenti per evitare nuovi casi Novartis-Roche. Saranno presto in vigore le nuove norme previste dal decreto del ministro appena pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale[22]. Il decreto prevede che, in presenza di due farmaci che possono avere lo stesso uso, ma con indicazioni per malattie diverse, l’AIFA potrà verificare, attraverso una sperimentazione effettuata con i propri fondi, la possibilita’ di utilizzare il farmaco off label. In questo caso l’azienda che ne detiene il brevetto potrà autorizzare l’AIFA a sperimentare, avviare in proprio il trial, oppure opporsi del tutto. In quest’ultimo caso, l’AIFA avrà la facoltà di pubblicizzare il diniego sul proprio sito. In caso di esito positivo della sperimentazione, il farmaco verrà autorizzato a carico del Ssn.

 

La storia comunque non si chiude qui: il ministero della Salute lo scorso 29 maggio aveva chiesto a Roche e Novartis un maxi risarcimento da un miliardo e 200 milioni di euro per i danni – patrimoniali (circa 45 milioni nel 2012, 540 milioni nel 2013 e 615 milioni nel 2014) e non – subiti dal Servizio sanitario nazionale a seguito dei comportamenti anti-concorrenziali delle case farmaceutiche. La richiesta di risarcimento è aggiuntiva alla muta confermata dal Tar del Lazio.

Bisognerà attendere aprile 2015, invece, per la decisione della Sezione Terza Quater relativa alla delibera dell’Aifa che aveva riammesso l’uso off label dell’Avastin a carico del Servizio sanitario nazionale, pur in maniera giudicata troppo restrittiva dagli oftalmologi che infatti hanno fatto ricorso al Tar.

 

Silvio Garattini, foto dell’Istituto Mario Negri

Silvio Garattini, foto dell’Istituto Mario Negri

 

Dopo aver parlato tanto male dei farmacologi cattivi, spezziamo una lancia a loro favore: Silvio Garattini, il direttore del Mario Negri, aveva denunciato[23] (già nel 2010) il caso Avastin-Lucentis chiedendo, senza essere ascoltato, maggiore autonomia all’AIFA. In questo caso, infatti, l’agenzia del farmaco non aveva potuto cambiare le indicazioni dei farmaci rispetto alla volontà delle industrie, che, soprattutto in Italia, possono gestire i loro prodotti a loro piacimento.

 

 

* Il dott. Edoardo Romano si occupa di biologia molecolare all’Università degli Studi di Milano, in particolare dello studio a livello molecolare ed elettrofisiologico di canali ionici sintetici controllati dalla luce.

 

 

L’articolo è stato pubblicato il 28 Dicembre 2014 su Italia Unita per la Scienza.

 

 

Photo Credit:

immagine di copertina: <a href=”https://www.flickr.com/photos/didier-lg/159420661/”>Didier-Lg</a&gt; via <a href=”http://photopin.com”>photopin</a&gt; <a href=”http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0/”>cc</a&gt;

 

anatomia occhio umano

 

Tutte le altre immagini derivano dall’articolo apparso su Italia Unita per la Scienza e sono senza finalità di lucro. 

 

 

Referenze

[1 ]http://www.osservatoriomalattierare.it/component/content/article/38-sezioni/4046-cose-la-degenerazione-maculare

[2] Ferrara N, Hillan KJ, Gerber HP, Novotny W. (2004) Discovery and development of bevacizumab, an anti-VEGF antibody for treating cancer. Nat Rev Drug Discov. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15136787  

[3] El-Mollayess GM, Mahfoud Z, Schakal AR, Salti HI, Jaafar D, Bashshur ZF (2013) Intravitreal bevacizumab in the management of neovascular age-related macular degeneration: effect of baseline visual acuity. Retina http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23615342

[4] Li X, Hu Y, Sun X, Zhang J, Zhang M; Neovascular Age-Related Macular Degeneration Treatment Trial Using Bevacizumab (NATTB) (2012) Bevacizumab for neovascular age-related macular degeneration in China. Ophthalmology http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22818896

[5] http://archinte.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=410250

[6] Legge 648/1996 http://www.parlamento.it/parlam/leggi/96648l.htm

[7] Legge 94/98 http://www.camera.it/parlam/leggi/98094l.htm

[8] Decreto Ministeriale del 18 maggio 2001:http://www.handylex.org/stato/d180501.shtml

[9] Decreto Ministeriale dell’8 maggio 2003: http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/Decreto_Ministeriale_8_maggio_2003.pdf

[10] Finanziaria 2007: lettera Z http://www.cimoasmd.it/documenti/approfondimenti/425.pdf

[11] Chakravarthy U, Harding SP, Rogers CA, Downes SM, Lotery AJ, Culliford LA, Reeves BC (2013) Alternative treatments to inhibit VEGF in age-related choroidal neovascularisation: 2-year findings of the IVAN randomised controlled trial. Lancet http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23870813

[12] Abedi F, Wickremasinghe S, Islam AF, Inglis KM, Guymer RH (2014) ANTI-VEGF TREATMENT IN NEOVASCULAR AGE-RELATED MACULAR DEGENERATION: A Treat-and-Extend Protocol Over 2 Years. Retina http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24637667

[13] Kodjikian L, Souied EH, Mimoun G, Mauget-Faÿsse M, Behar-Cohen F, Decullier E, Huot L, Aulagner G; GEFAL Study Group. (2013) Ranibizumab versus Bevacizumab for Neovascular Age-related Macular Degeneration: Results from the GEFAL Noninferiority Randomized Trial. Ophthalmology http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23916488

[14] Krebs I, Schmetterer L, Boltz A, Told R, Vécsei-Marlovits V, Egger S, Schönherr U, Haas A, Ansari-Shahrezaei S, Binder S; MANTA Research Group. (2013) A randomised double-masked trial comparing the visual outcome after treatment with ranibizumab or bevacizumab in patients with neovascular age-related macular degeneration. Br J Ophthalmol. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23292928

[15] http://www.nei.nih.gov/catt/

[16] http://cteu.bris.ac.uk/trials/ivan/

[17] http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/aifa-precisazioni-regolatorie-su-avastin-e-lucentis

[18] Campbell RJ, Dhalla IA, Gill SS, Bell CM. (2012) Implications of “not me” drugs for health systems: lessons from age related macular degeneration. BMJ http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22549055

[19] http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=21326

[20] Braithwaite T, Nanji AA, Lindsley K, Greenberg PB (2014) Anti-vascular endothelial growth factor for macular oedema secondary to central retinal vein occlusion http://summaries.cochrane.org/CD007325/anti-vascular-endothelial-growth-factor-for-macular-oedema-secondary-to-central-retinal-vein-occlusion

[21] Chakravarthy U, Harding SP, Rogers CA, Downes SM, Lotery AJ, Culliford LA, Reeves BC; IVAN study investigators. (2013) Alternative treatments to inhibit VEGF in age-related choroidal neovascularisation: 2-year findings of the IVAN randomised controlled trial. Lancet http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23870813

[22] http://www.sanita.ilsole24ore.com/pdf2010/Sanita2/_Oggetti_Correlati/Documenti/Dal-Governo/OFFLABEL_DROGA_DLGSGU.pdf?uuid=1d180532-b12f-11e3-97ac-b5b8265d7fd3 (pagina 16)

[23] http://www.repubblica.it/cronaca/2014/03/06/news/garattini_l_industria_fa_i_suoi_interessi_lo_stato_deve_difenderci-80330525/

Siete soddisfatti del vostro medico?

Se siete soddisfatti del vostro medico, per favore, ditelo!

 

Negli ultimi anni le cause civili contro i medici sono aumentate esponenzialmente. Con loro anche il numero di contratti assicurativi che i professionisti della sanità devono stipulare per “tutelarsi”. I media fanno da cassa di risonanza per casi di presunta mala-sanità, spesso, purtroppo, con la sola finalità di far notizia: mettono “in croce” il professionista, salvo poi dimenticarsi di riabilitarlo nel caso fosse assolto per la sua condotta impeccabile. Raramente i media raccontano le eccellenze della nostra sanità. Un circolo vizioso di malelingue e di mancanza di fiducia nei medici e nelle altre figure, che finirà per distruggere non solo la Sanità, ma la Salute di tutti i cittadini.

La Sanità non è un’associazione per delinquere, è un bene comune, che va tutelato e sostenuto, con i fatti e le parole. Da tutti.

 

Vi propongo alcuni estratti di un interessante articolo firmato da Carla J. Rotering, apparso sul blog kevinmd.com:

 

Una volta i dottori (medici, ndr) erano le persone più ammirate e rispettate di una comunità; oggi quel titolo rivela solo una posizione sociale e genera una reazione totalmente differente.

 

I pazienti raccontano spesso di esperienze sanitarie traumatiche, insulti ricevuti, atti di mancanza di rispetto o atteggiamenti scortesi al letto del paziente; raccontano della delusione nel sistema e che i medici li buttano giù di morale. Accusare i medici sta diventando uno sport nazionale.

 

Vien da pensare come tutto il mondo sia paese: allora non solo in Italia ci sono accuse verso i medici! Aspettate: ma allora è la formazione dei medici di tutto il mondo a essere scadente o non sufficiente, oppure il problema risiede, parzialmente, altrove?

 

Il fatto è che la formazione, le conoscenze, le competenze e la professionalità è oggi molto più alta di quando tutti adoravano il loro medico. Uno dei più grandi cambiamenti in quest’era di diritti del malato, i medici sono molto più caricati di responsabilità e spesso non riescono a soddisfare a pieno gli elevati standard richiesti.

 

Come risultato molti medici sono demoralizzati perché non riescono a prendersi cura dei propri pazienti come vorrebbero, hanno meno tempo per loro, più domande e più compiti da svolgere, uno stress crescente, un compenso economico sempre più basso, un controllo pubblico esigente, in un crescendo di negatività.

 

Sono sempre più convinta che i medici che amano il loro lavoro e sono disposti a farlo al meglio per il bene dei propri pazienti sovrasta di molto la minoranza che pensa solo al denaro e non ai propri pazienti. Questi medici sono rispettati, valorizzati e impiegano tutta la loro energia per dedicarsi totalmente a fare del loro meglio solo per noi.

[…]

 

Coloro i quali percepiscono che la reputazione della sanità sta peggiorando e sono stanchi del continuo attacco verso i medici, dovrebbero:

  • avere il coraggio di levare le proprie voci in favore dei lati positivi del sistema sanitario, degli ospedali e dei professionisti della sanità;
  • esprimere la vicinanza agli amici o ai familiari che sono delusi dai professionisti della sanità, senza però alimentare le offese verso di loro;
  • provare empatia verso i professionisti della sanità di oggi (mettersi nei loro panni, ndr); aiutare nel far notare agli altri la pressione che i medici oggi subiscono nell’attuale sistema;
  • ringraziare, apprezzare e riconoscere la bravura di quei medici che hanno un approccio incentrato totalmente sul paziente;

fate la vostra parte nel costruire una comunità in cui tutti, medici inclusi, si sentano supportati nel loro lavoro.

[…]

 

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Sono certo che, purtroppo, alcuni di voi abbiano avuto delle esperienze negative nelle strutture ospedaliere. Molte di queste sono indipendenti dai medici, altre potrebbero essere legate a un medico, infermiera, tecnico che si è comportato in maniera scortese o semplicemente sbrigativa. Insomma potreste non aver avuto l’accoglienza che vi sareste aspettati. Non posso negarlo: purtroppo succede.

Nella mia, seppur breve finora, esperienza di formazione sul campo (oltre che di quella da paziente) ho assistito ad alcune situazioni spiacevoli. Moltissime di queste sono il frutto di un Sistema Sanitario che richiede sempre di più ai professionisti un instancabile crescendo in termini di produttività: visite veloci con tempi ridotti al minimo, moduli burocratici da compilare, protocolli da rispettare, e sempre meno in termini di attenzione verso il paziente.

Altre situazioni che ho vissuto sono legate piuttosto al carattere del professionista: alcuni sono di poche parole, altri sono un po’ autoritari, altri sono semplicemente di cattivo umore.

Concorderete con me che tutte le professioni a contatto con il pubblico sono oggetto – giustamente – di aspre critiche: la commessa del negozio cui meno chiedi meglio è. L’impiegato di qualche ufficio al quale il proprio lavoro sembra pesare come un macigno. Addetti agli sportelli d’informazione che trattato le persone da ignoranti. Dite la verità: a tutti è capitato qualcosa del genere.

Le professioni sanitarie sono simili, inutile negarlo. Tuttavia non posso nascondere che quest’ultime presentano un lato molto delicato: sono ogni giorno a contatto con la sofferenza di altre persone. Questo significa che non potrebbero permettersi di essere di poche parole, ma anzi dovrebbero seminare parole rassicuranti e di speranza. Non dovrebbero essere solo autoritari, ma anche accondiscendenti e comprensivi.

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D’altro canto anche i pazienti hanno la loro quota di errore: alcuni non ascoltano il consiglio medico, facendo di testa loro. Altri si disinteressano totalmente della propria salute, rendendo il tutto più difficile. Altri ancora sono talmente attenti alla propria salute che finiscono per far troppo e male. “Il mondo è bello perché è vario” e il medico deve imparare a confrontarsi con centinaia di caratteri diversi. Ricordiamoci, però, che come in tutte le professioni, il comportamento verso il prossimo nessuno lo insegna, seppur esistano corsi adibiti all’addestramento per la comunicazione con il paziente. La miglior insegnante, a parer mio, è la vita di tutti i giorni: il contatto quotidiano con il paziente. Credetemi: il lavoro del medico è ciò che di più bello esiste al mondo. Non è retorica: si ha la possibilità, quotidianamente, di instaurare con altre persone, totalmente sconosciute, un patto nobile, di sincerità e stima reciproca. Il medico si trova nella sua posizione al solo scopo di cercare di guarire il corpo e curare l’animo, dando sollievo al malato. Sarebbe un peccato perdere tale aspetto sotto un mare di burocrazia e una tempesta d’insulti alla categoria.

E perché no: s’impara dagli errori.

Quegli errori oggi demonizzati come se non si potesse più sbagliare. Come se i professionisti della sanità fossero dei computer: basta inserire qualche dato e l’hardware calcola automaticamente diagnosi e terapia. Ahimè non è affatto così semplice. La medicina non è una scienza esatta. Non lo sarà mai. Nessuno ha la sfera di cristallo: non è possibile prevedere come un paziente “B” risponderà a un farmaco o una procedura, che per il paziente “A” è stata salvavita. I medici continueranno a sbagliare. I pazienti continueranno a soffrire. Ma badate bene: tutti noi siamo pazienti. Anche i medici sono pazienti. Questo significa che, tranne rare e disdicevoli eccezioni di medici “corrotti”, che pensano solo al loro tornaconto, la stragrande maggioranza dei medici si occupa dei propri pazienti con interesse profondo, umanità e impegno alla ricerca della migliore cura possibile. La stragrande maggioranza dei medici è consapevole della sofferenza del paziente, è consapevole che al posto del proprio paziente potrebbe esserci lui stesso, o un suo familiare. Nessun medico sbaglia per la volontà di sbagliare. Certo, ci può essere imprudenza, imperizia, negligenza (aspetti che vanno giustamente puniti), ma nella stragrande maggioranza dei casi gli eventi hanno un esito infausto, indipendentemente dal medico.

Siate, dunque, sereni: le cure che ricevete sono certamente le migliori che quel medico, in quel momento, può offrire a voi, nella vostra particolare situazione.

 

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“Possiamo ridurre la brutta reputazione della sanità facendo conoscere con forza la verità ai pazienti e a chi prende le decisioni.

 

La sanità si sta facendo una brutta reputazione perché i pazienti soddisfatti e i professionisti della sanità se ne stanno in silenzio. Quello che ci serve è meno silenzio e più verità. Solo la verità può renderci liberi e può liberare la professione medica dal baratro della negatività dell’opinione pubblica.

 

 

Pazienti, alzate la voce: fate conoscere la vostra soddisfazione e la vostra ammirazione per i medici che avete incontrato.

Professionisti della sanità: fate valere la vostra posizione tra la gente, comunicate con pazienza e semplicità le nozioni mediche.

Studenti e futuri professionisti: contribuite alla diffusione della corretta informazione tra le persone.

La Sanità è un bene di tutti, combattiamo per difenderla.

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photo credit medico che parla con paziente

photo credit medico che consola paziente

photo credit medici all’opera

Sapete mantenere un segreto?

 

Vi sarà sicuramente capitato che qualche amico o parente vi abbia confidato un segreto. Vi sarà capitato, forse, di averlo spifferato. A volte inconsapevolmente, altre volte di proposito, altre volte ancora per quel gusto, un po’ disdicevole – a mio modesto parere, del pettegolezzo. Attenzione però al lavoro che svolgete: anche insospettabili impieghi potrebbero prevedere, per legge s’intende, il dovere di riservatezza. Insomma: potreste finire nei guai.

 

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Il dovere di riservatezza

La professione principe che prevede il dovere di riservatezza è senz’altro la professione medica. In realtà nessuna legge italiana lo prevede specificamente per il medico. Si tratta, più che altro, di un dovere morale: non rivelare senza motivo ciò che il paziente confida durante la raccolta della sua storia. Semplice buon senso, vi pare? A scanso di equivoci il Codice di Deontologia Medica prevede degli articoli ad hoc, come è giusto che sia.

 

“Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell’esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.”

Giuramento antico di Ippocrate

 

 

“Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro: […] di osservare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato; […]”

Giuramento moderno, FNOMCEO 2007

 

 

 

Art. 10 Segreto professionale

Il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò che gli è confidato o che può conoscere in ragione della sua professione.

La morte della persona assistita non esime il medico dall’obbligo del segreto.

Il medico informa i collaboratori e discenti dell’obbligo del segreto professionale sollecitandone il rispetto.

La violazione del segreto professionale assume maggiore gravità quando ne possa derivare profitto proprio o altrui, ovvero nocumento della persona assistita o di altri.

La rivelazione è ammessa esclusivamente se motivata da una giusta causa prevista dall’ordinamento o dall’adempimento di un obbligo di legge. (denuncia e referto all’Autorità Giudiziaria, denunce sanitarie, notifiche di malattie infettive, certificazioni obbligatorie) ovvero da quanto previsto dai successivi artt. 11 e12.

Il medico non deve rendere all’Autorità competente in materia di giustizia e di sicurezza testimonianze su fatti e circostanze inerenti al segreto professionale.

La sospensione o l’interdizione dall’esercizio professionale e la cancellazione dagli Albi non dispensano dall’osservanza del segreto professionale.

(Codice di Deontologia Medica, 2014)

 

Dunque il medico non può rivelare ciò che ha appreso in ragione della sua professione: tutte le possibili confidenze che voi, come pazienti, affidate a lui, devono rimanere segrete. Le uniche eccezioni al mantenimento del segreto sono quelle previste dalla legge per l’esecuzione della denuncia e referto all’Autorità giudiziaria, notifica di malattie infettive, certificazioni obbligatorie.

Rivelare un segreto non solo viola il Codice di Deontologia Medica, ma è anche un reato penale (vedi dopo). Se la violazione del segreto è perpetuata allo scopo di trarne un vantaggio per sé o per gli altri la pena sarà, verosimilmente, più grave.

Attenzione che il segreto professionale si applica anche ai collaboratori del medico: ovviamente l’infermiere e gli operatori sanitari, ma anche, ad esempio, la segretaria di studio medico, così come gli studenti universitari o tirocinanti, che in virtù della loro posizione di discenti vengano a conoscenza della situazione di salute di un determinato paziente.

 

Art. 11 Riservatezza dei dati personali.       

Il medico acquisisce la titolarità del trattamento dei dati personali previo consenso informato dell’assistito o del suo rappresentante legale ed è tenuto al rispetto della riservatezza, in particolare dei dati inerenti alla salute e alla vita sessuale.

Il medico assicura la non identificabilità dei soggetti coinvolti nelle pubblicazioni o divulgazioni scientifiche di dati e studi clinici.

Il medico non collabora alla costituzione, alla gestione o all’utilizzo di banche di dati relativi a persone assistite in assenza di garanzie sulla preliminare acquisizione del loro consenso informato e sulla tutela della riservatezza e della sicurezza dei dati stessi. (Codice di Deontologia Medica, 2014)

 

top secret

 

Il medico, che entra in possesso dei vostri dati sensibili, li custodisce nella maniera più sicura possibile per evitarne la loro impropria divulgazione. Li custodirà sicuramente in luoghi non accessibili a tutti, oppure, nel caso di una banca dati computerizzata, li proteggerà con appositi sistemi di crittografia.

Inoltre, nel caso in cui vi capitasse di partecipare a uno studio clinico, sappiate che nessun vostro dato personale anagrafico e sensibile verrà divulgato impropriamente, ma verranno utilizzati solo dati clinici inerenti allo scopo dello studio.

 

 

 

 

Il dovere di riservatezza nel Codice Penale

 

Forse non tutti sanno che il dovere di riservatezza non è contemplato solamente nel Codice di Deontologia Medica, ma anche nel Codice Penale, che dev’essere rispettato da tutti i cittadini, non solo dai medici, come nel caso del Codice Deontologico.

 

Tant’è vero che l’Articolo 622 del Codice Penale non fa alcuna menzione della professione medica o di altre professioni in particolare:

 

 

Art. 622 C.P. Rivelazione del segreto professionale.

Chiunque, avendo notizia per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

A ben leggere infatti, l’articolo esordisce con “Chiunque…”: il legislatore non si riferisce al medico in particolare, ma a tutti i cittadini. Ad esempio: un fotografo che nello svolgimento della sua attività si dovesse accorgere di un difetto fisico della persona che sta fotografando, è tenuto a non rivelare quel difetto fisico, soprattutto nel caso in cui dalla rivelazione ne possa derivare danno della persona offesa. Lo stesso vale, altro esempio, per l’estetista che si dovesse accorgere di una particolare caratteristica fisica: in ragione della sua professione è tenuta a non rivelare quella particolare caratteristica o difetto, soprattutto se questo potrebbe danneggiare in qualsiasi modo il cliente.

Cosa vuol dire “proprio stato”?

La propria posizione sociale/familiare. Ad esempio il coniuge, figli o familiari del medico, eventuali collaboratori di studio, personale domestico. Attenzione mogli o mariti di professionisti sanitari: se sentite per casualità sentita discutere di un paziente, siete tenuti anche voi al segreto! Così come i collaboratori che leggono determinati dati clinici nello studio medico, mentre fanno il loro lavoro: se questi vanno a raccontare i fatti di cui vengono a conoscenza sono loro che violano il segreto, non il medico.

Cosa si intende per “segreto”?

Qualsiasi aspetto della vita privata dell’assistito, che egli ha interesse a non far conoscere, di cui il medico sia venuto a conoscenza per motivi professionali. Aspetti della vita privata del soggetto che non sono conosciuti dalla maggior parte delle persone. Il segreto professionale non si limita ai dati sulla salute: se il paziente confida al medico altri aspetti della sua vita, anche questi sono coperti dal segreto professionale. Questo perché il paziente racconta le sue confidenze mentre il professionista è nel suo status di medico. Tutto ciò che il medico sente mentre ha il camice è un segreto.

 

Cosa si intende per “rivelare”?

Overo lo comunica a una persona qualsiasi, senza giusto motivo. È invece lecita la trasmissione, cioè l’affidamento della notizia a una persona essa stessa vincolata al segreto professionale e motivata dal dovere di cura verso il paziente o da un dovere d’ufficio. È possibile trasmettere il segreto solo se vi sono finalità curative: si può tranquillamente chiedere in tal caso un consulto ad un collega, mantenendo l’anonimato del paziente. Se invece c’è bisogno di dire chi è il paziente, allora bisogna prima chiedere il consenso a questo. È possibile discutere del caso clinico con i colleghi o il personale del reparto, o altri specialisti, ma non si può rivelare il segreto a qualsiasi collega, solo in virtù del fatto che sia tale.

 

Qual è la “giusta causa”?

La rivelazione o la trasmissione delle notizie coperte da segreto professionale devono perpetuare uno scopo ben preciso. Le cause che consentono la rivelazione del segreto professionale sono di due tipi:

  • Cause imperative: imposte da una norma di legge, come referto, denuncia, certificati, perizie, ispezione corporale, visite medico-legali di controllo. Sono le norme che impongono al medico di riferire un dato fatto all’Autorità competente in determinate situazioni.
  • Cause permissive: che consentono, ma non obbligano alla rivelazione. Ad esempio il paziente a cui non importa che le sue notizie cliniche vengano divulgate. In questo caso, comunque, il dovere morale impone al medico il silenzio, a meno che non ci sia una necessità oggettiva.

 

Cosa vuol dire “può derivarne nocumento”? Ossia se la rivelazione di tale segreto potrebbe creare un danno alla persona offesa. È un cosiddetto “reato di pericolo”.

 

 

L’aspetto interessante è che il dovere di riservatezza è talmente tutelato che il Codice di Procedura Penale prevede la non obbligatorietà della deposizione per i professionisti che debbano mantenere il segreto professionale:

 

Art. 200 C.P.P. Segreto professionale.        

  • Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto in ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria: a) i ministri di confessioni religiose […]; b) gli avvocati […], i consulenti tecnici ed i notai; c) i medici e chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria […]

 

Questo articolo prevede che, se il caso non rientra in quelli in cui si è obbligati a eseguire la denuncia all’Autorità Giudiziaria, il giudice non può imporre al medico di dire di che cosa soffre un paziente. Se un giudice chiede il motivo di una determinata procedura medica, il medico non è obbligato a rispondere. A meno che il medico non si trovi di fronte ad una situazione che prevede per legge la compilazione di un referto, una denuncia o quant’altro. Allo stesso modo del medico, anche l’infermiere, il fisioterapista o chiunque altro eserciti una professione sanitaria ha tale diritto.
È chiaro, tuttavia, che se il giudice sospetta che dietro questo diritto ci sia qualcosa di illecito, può procedere imponendo la rivelazione del segreto.

 

Insomma, è proprio il caso di dirlo: quando si viene a conoscenza di un segreto, è meglio cucirsi la bocca!

Insomma, è proprio il caso di dirlo: quando si viene a conoscenza di un segreto, è meglio cucirsi la bocca!

 

 

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La SLA in 10 punti

 

Milioni di persone in tutto il mondo hanno postato la loro secchiata d’acqua fredda (con ghiaccio) sui social networks allo scopo di promuovere la consapevolezza sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica e di incoraggiare le donazioni alla ricerca. L’iniziativa si chiama Ice Bucket Challenge, ovvero una sfida a secchiate di ghiaccio.

 

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A dispetto dell’enorme risonanza dei gesti, ben poche fonti di notizia – a mio parere – hanno dato spazio alla corretta informazione su cosa sia la SLA.

 

 

Per chi non ha molto tempo da dedicare all’informazione personale, ma vorrebbe avere più notizie, eccovi un semplice e rapido riassunto in 10 punti:

 

 

Cos’è la SLA?

 

1

SLA è un acronimo che sta per Sclerosi Laterale Amiotrofica. In inglese: amyotrophic lateral sclerosis – ALS. Si tratta di una malattia rara.

È stata descritta in maniera sistematica per la prima volta da Jean-Martin Charcot, padre della neurologia moderna.

La SLA è una malattia rara: la sua incidenza è di circa 2-3 casi ogni 100.000 abitanti/anno.

 

Jean-Martin Charcot, padre della neurologia moderna. Maestro, tra gli altri, di Freud e di Babinski.

Jean-Martin Charcot, padre della neurologia moderna. Maestro, tra gli altri, di Freud e di Babinski. Img: Wikipedia.

 

2

È una malattia neurodegenerativa che colpisce i neuroni che sono deputati al controllo dei muscoli.

Rientra nelle cosiddette “Malattie del motoneurone”, insieme alla AMS (Atrofia Muscolare Spinale). La malattia è caratterizzata dalla morte dei motoneuroni dell’area motoria primaria (un’importante zona della corteccia cerebrale in cui hanno sede i neuroni che controllano tutti gli altri neuroni addetti ad attivare i muscoli del corpo), del tronco encefalico (area del sistema nervoso situata alla base del cervello, in cui hanno sede i neuroni che controllano principalmente i muscoli della testa: volto, lingua) e del midollo spinale (dove si trovano i neuroni che controllano i muscoli degli arti e del tronco).

 

3

Esordisce attorno ai 55-65 anni.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, fuorviati dal sensazionalismo dei media, la malattia non è prerogativa dei giovani: solo il 5% dei casi esordisce prima dei 30 anni. La stragrande maggioranza dei casi esordisce in età adulta/anziana, con media 64 anni. La gravità della malattia sta nella scarsissima sopravvivenza: in media tre anni e mezzo. Solo il 4% riesce a sopravvivere oltre i dieci anni.

 

4

La causa è sconosciuta.

Tutt’oggi la causa della SLA rimane non nota. Sono molte le ipotesi che circolano negli ambienti specialistici, tra le più accreditate vi è l’ipotesi ecitotossica e quella perossidativa. Seconda la prima vi sarebbe un accesso di glutammato nelle cellule nervose, che indurrebbe una serie di eventi metabolici che causano la morte neuronale. La seconda ipotizza che ci sia un accumulo di radicali liberi e conseguente stress ossidativo letale.

 

5

La malattia ha un esordio subdolo e spesso c’è un ritardo nella diagnosi.

Può esordire in varie sedi: agli arti superiori e/o inferiori, colpendo la muscolatura del volto o quella respiratoria.

L’esordio subdolo e la mancanza di marcatori di malattia contribuiscono a un ritardo nel riconoscere la malattia e a trattarla di conseguenza.

 

6

Non esiste una sola SLA.

Esistono, infatti, diverse varianti: la forma classica, che colpisce prevalentemente gli arti, la forma cosiddetta bulbare, che colpisce i muscoli del volto, e la forma polinevritica.

 

7

La malattia si presenza con particolari sintomi di debolezza.

L’ipostenia (ridotta forza muscolare) agli arti è il sintomo principale: è asimmetrica, maggiore agli arti superiori. È caratteristicamente presenza anche ridotta massa muscolare e fascicolazioni, ossia contrazioni muscolari involontarie molto fini.

 

8

La SLA non causa dolore e alcuni funzioni sono risparmiate.

Nella SLA non è mai colpita la sensibilità, non sono mai colpiti i muscoli oculari e gli sfinteri, come quelli nella vescica e nel retto. Le funzioni intellettive non sono mai colpite dalla SLA.

 

9

Molte malattie possono mimare la SLA, e viceversa.

Sono molte le altre condizioni patologiche che entrano in diagnosi differenziale con la SLA. Tra queste altre malattie che colpiscono i nervi, ma anche malattie che colpiscono primariamente i muscoli o malattie che colpiscono l’intero organismo.

Ecco spiegata la relativa difficoltà nella diagnosi certa e l’importanza (riferita ai pazienti) di non fidarsi delle sole informazioni on-line, ma di rivolgersi agli specialisti e affidarsi a loro per un corretto percorso di diagnosi e terapia.

 

10

Non si guarisce dalla SLA, ma alcune terapie ci sono e possono aiutare.

Purtroppo, fino ad ora, la SLA non è guaribile. Tuttavia è possibile trattare la malattia e prendersi cura del paziente, della persona, del suo fisico e della sua mente. Cercando di garantire un’accettabile qualità di vita. Le terapie includono la fisioterapia, la logopedia, il sostegno psicologico ai pazienti e alle famiglie, oltre che tutti gli interventi di sostegno delle funzioni vitali nei casi gravi.

 

 

L’argomento della SLA e, più in generale, delle malattie del motoneurone, della giunzione neuromuscolare e dei muscoli, richiede certamente una trattazione più estesa e approfondita, che non può essere ospitata sulle pagine virtuali di questo blog. Questo post ha lo scopo di sensibilizzare i lettori nei confronti della malattia, stimolarli ad informarsi in maniera corretta, acquisendo una maggiore consapevolezza della gravità della malattia e dell’importanza della ricerca medica e biologica, senza avere la presunzione di esaurire l’argomento in poche righe, né tantomeno di fornire consigli medici. È necessario, per i pazienti e le loro famiglie, consultare specialisti competenti in materia, affidandosi alla rete assistenziale del territorio.

 

 

Spero possiate comprendere l’importanza di donare in favore della ricerca sulla SLA: fatelo qui!

 

 

Per maggiori informazioni e contatti, visitate il sito dell’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica.

 

Queste le principali Associazioni, quella italiana e quella americana:

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Medichese: idiopatico.

 

Idiopàtico

aggettivo che deriva da idiopatìa. Nel linguaggio medico, termine che si riferisce a una malattia. In particolare, malattia che non deriva da una causa esterna o riconoscibile in maniera certa.

È sinonimo di “primitivo” o “essenziale”, in contrapposizione a “secondario”, che indica una malattia che è ascrivibile a una causa accertabile.

L’aggettivo può accompagnare qualsiasi patologia, la cui eziologia (causa) non sia nota o non sia riconoscibile con certezza.

Idiopatico, da Treccani.it

Idiopatico, da Treccani.it

Idiopatia, da Treccani.it

Idiopatia, da Treccani.it

In passato le patologie idiopatiche erano forse più frequenti, perché i medici e gli studiosi non erano in grado di riconoscerne la causa. Oggi, grazie alla ricerca di base (per esempio biologia molecolare, genetica) e grazie alle metodiche strumentali raffinate, sempre più spesso è possibile riconoscere la causa, o le cause, alla base di una malattia.

Idiopatico è un aggettivo che può essere, certamente, oggetto di abuso, a causa, magari, della scarsa conoscenza dei meccanismi alla base della malattia. Un aggettivo, però, che non deve spaventare: non indica né una patologia incurabile, né una malattia particolarmente aggressiva. Semplicemente denota la mancata identificazione certa, da parte degli studiosi, delle origini del disturbo, a causa dell’impossibilità di ricostruire i meccanismi molecolari alla base.

 

Un esempio?

Un classico esempio di patologia idiopatica è l’ipertensione arteriosa, o “pressione alta”. Questa può essere di due tipi: primitiva (sin. essenziale, idiopatica) o secondaria.

Secondaria indica che l’ipertensione è conseguenza di un’altra patologia. Rappresenta circa il 5% di tutti i casi di ipertensione. Spesso la causa è ascrivibile a malattie del sistema endocrino, caratterizzate da un aumento degli ormoni che causano un aumento della pressione. Per esempio ipertiroidismo (aumento dell’attività della ghiandola tiroide), Sindrome di Cushing (eccesso di ormoni glucocorticoidi), iperaldosternonismo (aumento della produzione dell’ormone aldosterone, che aumenta la ritenzione di sodio), feocromocitoma (tumore benigno della ghiandola surrenale). Quando il medico riscontrerà valori di pressione elevata e ipotizzerà la presenza di ipertensione arteriosa, dovrà escludere queste cause che possono essere a monte: rimosse queste la pressione tornerà nella norma.

 

Primitiva / idiopatica (il 95% di tutti i casi di ipertensione arteriosa) indica che non c’è un’altra patologia che causa a sua volta l’ipertensione. Il fatto che sia idiopatica, non significa che non esistano le cause. Semplicemente è difficile, nel singolo paziente, riconoscere la causa/le cause in maniera certa. Ripeto: non perché non esistano, ma perché, spesso, le cause sono molteplici e si influenzano tra loro, sovrapponendosi, per dare, alla fine, l’aumento di pressione. Infatti, per spiegare l’ipertensione primitiva si ipotizzano cause genetiche (sono state identificate diverse varianti geniche che potrebbero avere effetto sulla pressione arteriosa), ma è implicato soprattutto lo stile di vita: scarsa attività fisica, eccessivo consumo di sale nella dieta, eccessiva assunzione di caffeina.

 

 

In un futuro post mi soffermerò più in dettaglio sull’ipertensione arteriosa: cause, trattamenti, prevenzione, come si diagnostica e come si misura.

 

 

Nel frattempo, ricapitoliamo il significato di idiopatico:

 

Take home message

Take home message

Parlate il…Medichese?

 

Vi è mai capitato di non capire il significato di quanto scritto in un referto medico? Vi capita spesso? Come vi comportate? Per spiegazioni vi rivolgete al vostro medico? Oppure al farmacista, ad un amico? Cercate informazioni su internet?

Anamnesi patologia remota muta.

Il paziente lamenta faringodinia e pirosi.

Deambulazione corretta in tandem.

Iperemia congiuntivale.

Il soggetto è dispnoico.

Obnubilamento sensorio.

 

Eh? Prego?

I non addetti ai lavori capiscono ben poco, vero?

 

 

Uno dei problemi che affligge la quotidiana pratica clinica è che spesso le persone, i pazienti, non capiscano il significato di ciò che il medico ha scritto nella risposta o riportato nella cartella clinica. Questo spesso accade con il referto di un esame strumentale come una radiografia, un’ecografia, una risonanza magnetica o una TAC. Più raramente accade con una visita specialistica. Infatti, mentre nel primo caso il paziente ritira il referto senza la possibilità di confrontarsi con il radiologo, nel secondo caso lo specialista ha la possibilità di spiegare a voce tutto quello che c’è da sapere. In quest’ultima occasione, alla fine del colloquio con il medico, i più scrupolosi rimangono seduti, leggendo attentamente la risposta e chiedendo al medico il significato delle parole che non capiscono. Altri, per “non far brutta figura” con lo specialista, si rivolgono al medico di base o al farmacista. Altri ancora si scervellano a casa, chiedendo lumi ad amici o parenti, imprecando contro il medico. I più “furbi” cercano ii termini medici su internet, arrivando alle conclusioni più disparate, magari lontane dalla realtà.

 

Volete sapere se fidarvi delle informazioni mediche su internet? Cercate la certificazione HON-Code: leggete questo articolo su Bussola Medica!

 

Il rapporto medico-paziente

Tra medico e paziente si costruisce una vera e propria alleanza, che include il confronto aperto e sincero su tutto. A volte però, purtroppo, le circostanze trasformano il rapporto in un incontro frettoloso che impedisce al paziente di chiarire i propri dubbi. Tra questi, i più frequenti sono quelli che riguardano il cosiddetto “medichese”: termini medici tecnici, di difficile comprensione anche alle persone con istruzione elevata. Il non comprendere appieno i termini, spesso fa scadere il rapporto medico-paziente in un’incomprensione che porta il paziente anche a non fidarsi del medico. Questo non deve mai e poi mai accadere: pretendete da qualsiasi medico tutte le spiegazioni che ritenete necessarie, per evitare di perdere la stima in chi vi cura.

Un’altra conseguenza di questa incomprensione è, se possibile, ancor più pericolosa della mancanza di fiducia nel medico: le persone non capiscono la gravità della loro malattia, non eseguono la cura prescritta, non fanno prevenzione. Il risultato? Fanno del male a loro stessi, loro malgrado.

 

Per non farsi capire?

Navigando sul Web, leggendo giornali o riviste, troverete numerosi articoli che si occupano di medichese. Alcuni affermano come il medichese sia utilizzato dai medici per non farsi capire dai pazienti, preferendo rimanere arroccati sulle loro posizioni tecnocratiche. Altri accusano i medici di utilizzare paroloni altisonanti per dare prestigio al loro lavoro e guadagnare di più, a spese dei malati.

 

Tutte bugie.

 

 

A ogni oggetto il proprio nome

Provate a parlare con un giornalista di un titolo di giornale, provate a dirgli “la frase sopra/sotto il titolo”, invece di riferirvi correttamente all’occhiello o al sommario: vi fulminerà con lo sguardo. Tentate di capire da un elettricista la differenza tra Ampere e Volt. Non confondete il carburatore con la pompa di benzina, quando vi recate dal meccanico. Azzardatevi a scambiare l’hardware con il software, discutendo con un informatico. È esattamente questo di cui stiamo parlando: chiamare le cose con il proprio nome. Cioè: parlare italiano corretto. Ogni disciplina ha un proprio linguaggio. La Giurisprudenza ha un linguaggio diverso dall’Economia, così come la Medicina ha una terminologia propria, utile agli scopi che deve perseguire.

Il lessico medico, quello che trovate scritto nei referti, non ha tanto lo scopo di essere chiaro per il paziente, quanto quello di essere comprensibile a qualsiasi medico, ma soprattutto univoco, universale. Da Belluno a Palermo, dall’Italia alla Svezia, dall’Europa all’Oceania, passando per l’America. Se si usassero termini del linguaggio comune, potrebbero sorgere incomprensioni o fraintendimenti. Il linguaggio tecnico, invece, richiede di essere attenti, precisi ed esaustivi. Inoltre consente di essere oggettivi, evitando di scivolare verso l’emotività, che offuscherebbe il giudizio medico, che deve essere il più possibile adeguato alla situazione – seppur permeato da empatia verso il paziente. In questo modo, se oggi vi dovesse visitare il dott. Caio, saprebbe con certezza e facilità cosa ha riscontrato il dott. Tizio nella visita del mese scorso. A tutto vantaggio del paziente, vi pare?

 

La Medicina, però…

C’è una differenza sostanziale, che a tutti voi non è di certo sfuggita. Le persone hanno il diritto di conoscere ogni aspetto della loro salute: “Io voglio sapere cosa mi ha trovato il radiologo, voglio sapere che malattia ho!”. In effetti, come ho spiegato nel post “La medicina è una scienza?”, la Medicina differisce dalle sue scienze di base o dalla Giurisprudenza, piuttosto che dall’Economia, perché essa ha come oggetto di studio un soggetto: l’uomo. Ecco quindi la necessità che ogni argomento medico sia il più possibile comprensibile soprattutto alle persone comuni.

 

Come se ne esce?

Il cambiamento di linguaggio da parte dei medici sarebbe deleterio per gli stessi pazienti, che vedrebbero diminuire la certezza che tutti gli addetti capiscano il medesimo messaggio dallo stesso referto. Allora come assicurare il diritto di tutti a conoscere i dettagli del proprio stato di salute? I medici devono essere un Giano bifronte: da un lato tecnici, dall’altro divulgatori. I medici devono tornare a spiegare la medicina al paziente e ritrovare quel gusto, un po’ perduto, di insegnarla, o raccontarla.

 

Dizionario Medichese – Capibilese

Per questo mi è venuta la voglia di dedicare qualche post del mio blog a spiegare le parole del medichese. Affinché possa stuzzicare la vostra curiosità. Affinché possa dirigere la vostra attenzione verso le informazioni corrette e le interpretazioni consone. Affinché ai pazienti venga voglia di porre domande al proprio medico e ai medici ritorni la voglia di spiegare la Medicina ai propri assistiti.

 

Ovviamente tutto ciò, come sempre, senza avere la presunzione di esaurire l’argomento in poche righe e senza avere la superbia di saperne più del medico che vi ha in cura. Il mio scopo non è affatto dare consigli medici! Inoltre: la relazione medico-paziente deve essere sempre coltivata con il massimo impegno possibile, da parte di entrambi. Abbiate la serenità per chiedere al medico tutte le informazioni di cui avrete bisogno: sarà sicuramente un piacere per il vostro medico chiarire i vostri dubbi. Leggete qui per ulteriori raccomandazioni.

 

 

L’argomento vi stuzzica? Tornate su Bussola Medica, nel prossimo post spiegherò un termine molto comune…

 

 

Infortunio sul lavoro vs. Malattia professionale

Che differenza c’è tra infortunio sul lavoro e malattia professionale?

 

Forse vi sembrerà banale parlare di lavoro proprio alla vigilia del 1° maggio. Tuttavia, l’argomento di questo (lungo) post è uno degli argomenti più importanti per il lavoratore: conoscere cosa s’intende per infortunio sul lavoro e per malattia professionale, come comportarsi, a quali Enti potersi rivolgere e cosa gli viene riconosciuto e garantito.

Mettetevi comodi.

 

La tutela delle persone a proposito del lavoro è uno degli argomenti essenziali della sicurezza sociale. L’articolo 38 della Costituzione è la prima tra tutte le norme a prevedere la previdenza sociale: “[…] I lavoratori hanno diritto che siano provveduti ed assicurati i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. […] Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.”

 

L’INAIL è un’assicurazione pubblica

L’Ente preposto a occuparsi della tutela della salute delle persone sul luogo di lavoro è l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro). Si tratta di una vera e propria assicurazione, non privata, bensì sociale, pubblica. Secondo l’art. 1882 del Codice Civile, L’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana.” Rispetto all’assicurazione privata, quella sociale ha dei caratteri distintivi e peculiari: è obbligatoria, scatta in automatico al verificarsi dell’evento, ha una finalità sociale e non di lucro, ha natura collettiva e garantisce l’uniformità delle prestazioni che eroga.

L’INAIL, in particolare, è un’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Fa parte dell’assicurazione sociale anche l’INPS (Istituto Nazionale Previdenza Sociale), che invece tutela l’invalidità, l’inabilità, la vecchiaia o l’anzianità lavorativa, la disoccupazione involontaria, la maternità, la malattia.

 

 

Infortunio sul lavoro

Secondo il D.P.R. 1124/65, (Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro per le malattie professionali), articoli 2 e 210: L’assicurazione comprende tutti i casi avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un danno biologico permanente, ovvero una inabilità temporanea assoluta che comporti l’astensione dal lavoro per più di tre giorni.

Tre, dunque, sono le caratteristiche fondamentali dell’infortunio sul lavoro: la causa violenta, l’occasione di lavoro, il danno assicurato. Cosa significa? Scopriamolo insieme:

 

CAUSA VIOLENTA

Esteriorità: l’evento deve essere esterno, fuori dal soggetto. Può essere fisico-meccanico (un trauma), chimico (intossicazione acuta o irritazione da sostanze chimiche), termica (colpo di calore), elettrica, barica, tossica, infettiva oltre che lo sforzo e lo stress emotivo.

Concentrazione cronologica: l’evento deve avvenire in un turno di lavoro. Questo può includere sia una causa violenta, che avviene in tempi brevi come un trauma, sia un avvenimento che accade un tempi leggermente più lunghi, sia un colpo di calore o la refrigerazione, ma sempre all’interno del turno di lavoro.

Efficienza: l’evento non può essere sostituito da un’altra qualsiasi causa.

 

OCCASIONE DI LAVORO

L’evento deve essere dipeso dal rischio professionale (rischio specifico o generico aggravato – vedi dopo) e dalla finalità di lavoro.

 

DANNO ASSICURATO

L’evento, per essere riconosciuto, deve aver provocato la morte, un danno biologico permanente (cioè la menomazione dell’integrità psicofisica della persona, espressione del bene giuridico salute, suscettibile di valutazione medico-legale), o un’inabilità temporanea assoluta (impossibilità di svolgere la lavorazione) che comporti l’astensione per più di tre giorni.

 

Riferimento al sito INAIL.

 

Il rischio professionale

Cosa s’intende con rischio professionale? L’INAIL riconosce il rischio specifico e il rischio generico aggravato.

Il rischio specifico è quello strettamente legato alla professione svolta. Ad esempio un apicoltore che è punto da un’ape, il rischio di cadere da un’impalcatura per un muratore.

Il rischio generico aggravato non è strettamente legato alla professione svolta, ma può essere collegato. Ad esempio un contadino che è punto da un’ape. Il contadino non svolge propriamente la professione di apicoltore, ma è innegabilmente più a rischio di un impiegato.

Non è, invece, riconosciuto il rischio generico, quello, per intenderci, dell’impiegato che viene punto da un’ape. Si tratta di un evento che può capitare a tutti, non è strettamente legato al lavoro.

 

 

L’infortunio in itinere

L’INAIL tutela i lavoratori anche nel caso d’infortuni avvenuti durante il viaggio di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro, quando il lavoratore deve recarsi da un luogo di lavoro a un altro, nel caso di rapporti di lavoro plurimi, oppure mentre si reca al luogo di consumazione dei pasti, se non esiste una mensa aziendale. Qualsiasi modo di spostamento è compreso nella tutela (mezzi pubblici, a piedi, ecc.) a patto che siano appurate le finalità lavorative, la normalità del tragitto (il lavoratore deve percorrere il tragitto più logico per recarsi al lavoro) e la compatibilità degli orari. Al contrario, il tragitto effettuato con l’utilizzo di un mezzo privato, compresa la bicicletta in particolari condizioni, è coperto dall’assicurazione solo se tale uso è necessitato.

 

Le interruzioni e deviazioni del percorso rientrano nell’assicurazione?

Le eventuali interruzioni e deviazioni del normale percorso non rientrano nella copertura assicurativa a eccezione di alcuni casi particolari, ossia se vi siano condizioni di necessità o se siano state concordate con il datore di lavoro. Ad esempio:

interruzioni/deviazioni effettuate in attuazione di una direttiva del datore di lavoro;

interruzioni/deviazioni “necessitate” ossia dovute a causa di forza maggiore (ad esempio un guasto meccanico) o per esigenze essenziali e improrogabili (ad esempio il soddisfacimento di esigenze fisiologiche) o nell’adempimento di obblighi penalmente rilevanti (esempio: prestare soccorso a vittime di incidente stradale);

brevi soste che non alterino le condizioni di rischio.

Se invece il lavoratore si ferma, ad esempio, per fare la spesa, questa non è un’interruzione/deviazione che esprime una necessità.

 

Usare un mezzo privato

Per quanto riguarda l’uso del mezzo privato (automobile, scooter, bicicletta), l’INAIL è molto chiara. Ecco cosa potete trovare nel sito dell’INAIL:

Può considerarsi necessario solo in alcune situazioni, esempi:

  • mezzo fornito o prescritto dal datore di lavoro per esigenze lavorative
  • il luogo di lavoro è irraggiungibile con i mezzi pubblici oppure raggiungibile ma non in tempo utile rispetto al turno di lavoro
  • i mezzi pubblici obbligano a attese eccessivamente lunghe
  • i mezzi pubblici comportano un rilevante dispendio di tempo rispetto all’utilizzo del mezzo privato
  • la distanza della più vicina fermata del mezzo pubblico deve essere percorsa a piedi ed è eccessivamente lunga.

 

 

Malattia professionale

T.U. (1965), Artt. 3 e 211 – L’assicurazione è altresì obbligatoria per le malattie professionali indicate nella tabella allegate […], le quali siano contratte nell’esercizio e a causa delle lavorazioni specificate nella tabella stessa ed in quanto tali lavorazioni rientrino fra quelle previste […].

Si tratta, dunque, di patologie croniche connesse al lavoro, il lavoro o le lavorazioni specifiche sono la causa primaria della malattia. Non si parla più di causa violenta in occasione di lavoro, come nell’infortunio. Nelle malattie professionali manca l’evento traumatico, ma c’è una correlazione diretta tra il lavoro, particolari esposizioni dovute alle lavorazioni specifiche e la malattia.

 

Tre sono le caratteristiche fondamentali delle malattie professionali:

 

RISCHIO PROFESSIONALE

Non più occasione di lavoro, come nell’infortunio, ma rapporto causale diretto con il lavoro.

 

CAUSA DILUITA NEL TEMPO

Non più causa violenta, ma una causa (lavorativa) più prolungata nel tempo, che porta ad una malattia cronica.

 

SISTEMA TABELLARE

Le malattie professionali sono tutte raccolte in una tabella a tre colonne. Nella prima sono riportate tutte le malattie professionali, nella seconda le lavorazioni specifiche che possono causare direttamente la malattia in oggetto. Infine nella terza colonna è indicato il limite massimo di tempo in cui la malattia può manifestarsi se effettivamente connessa alla lavorazione specifica. Esiste, cioè, un limite temporale massimo d’indennizzabilità da parte dell’INAIL. Ad esempio: per le malattie causate da piombo, leghe e suoi composti organici, le lavorazioni previste sono quelle che espongono all’azione del piombo leghe e composti. Il periodo massimo d’indennizzabilità dalla cessazione del lavoro è di 4 anni. Se entro quattro anni il lavoratore manifesterà una malattia legata all’esposizione al piombo, allora il riconoscimento della malattia professionale sarà automatico. Nel caso in cui, invece, passi più tempo il lavoratore dovrà dimostrare l’effettivo nesso di causa tra il lavoro e la sua patologia.

Un sistema così, tuttavia, è chiuso: non permette di riconoscere malattie che non siano comprese in questa tabella. È stato risolto il problema trasformando il sistema tabellare in un sistema misto: rimane in vigore la tabella originaria, ma è possibile il riconoscimento di qualsiasi altra malattia, purché il lavoratore dimostri il nesso di causa tra la stessa e il lavoro.

 

Riferimento per la malattia professionale sul sito ufficiale INAIL.

 

Valutazione del danno

Una domanda che potrebbe sorgervi è: “ma come fanno a calcolare quanto riconoscermi in denaro?” Per questo esistono delle tabelle specifiche che valutano il grado di invalidità per le singole menomazioni, oppure esistono delle formule particolari che calcolano il danno sulla base di diverse variabili che possono presentarsi di volta in volta.

 

 

Quali sono le prestazioni assicurative riconosciute dall’INAIL?

Sono essenzialmente cinque le prestazioni assicurative che sono erogate dall’INAIL. È da tenere in considerazione che non vi è alcun indennizzo per le menomazioni fino al 5%.

Ecco le prestazioni assicurative:

Temporanea inabilità assoluta: INDENNITA’ GIORNALIERA (dopo il terzo giorno).

Danno biologico permanente:

  • INDENNIZZO IN CAPITALE per i danni dal 6 al 15%.
  • RENDITA VITALIZIA per danni dal 16 al 100%.
  • Assegno mensile di assistenza personale continuativa per determinate menomazioni tassativamente specificate nella tabella allegato 3 al T.U., le cosiddette “grandi invalidi del lavoro”.
  • Rendita ai superstiti (artt. 85 e 233).
  • Prestazioni di cura e riabilitazione (art. 83 del T.U. e leggi n. 88/1989). Per quest’ultima voce, consultare la sezione dedicata sul sito ufficiale INAIL.

 

Riferimento al sito INAIL.

 

Come comunicare l’infortunio?

Potete trovare tutte queste informazioni sul sito ufficiale dell’INAIL:

Il lavoratore deve dare notizia dell’infortunio al datore di lavoro. La segnalazione dell’infortunio deve essere fatta anche nel caso di lesioni di lieve entità. In base alla gravità dell’infortunio, il lavoratore può:

  • rivolgersi al medico dell’azienda, se è presente nel luogo di lavoro;
  • recarsi o farsi accompagnare al Pronto soccorso dell’ospedale più vicino;
  • rivolgersi al suo medico curante.

In ogni caso, occorre spiegare al medico come e dove è avvenuto l’infortunio.

 

Vedi anche: Ottenere l’indennità temporanea, sul sito ufficiale INAIL.

 

Il certificato medico

Il medico rilascia un primo certificato in più copie, nel quale sono indicati la diagnosi e il numero dei giorni di inabilità temporanea assoluta al lavoro. Una copia deve essere consegnata subito al proprio datore di lavoro (direttamente o tramite altre persone, familiari, amici), una copia deve essere conservata in originale dal lavoratore. In caso di ricovero, sarà l’ospedale a inviare direttamente la copia dei certificati all’INAIL e al datore di lavoro.

 

Cosa fare se il datore di lavoro non denuncia l’infortunio?

Dopo essere stato informato dell’incidente, il datore ha due giorni di tempo per presentare all’INAIL la denuncia d’infortunio. L’obbligo di denuncia non c’è se, in base al certificato medico e alla relativa prognosi, l’infortunato è dichiarato guaribile in tre giorni oltre a quello dell’evento. Se il datore di lavoro non dovesse denunciare all’INAIL l’infortunio, può farlo il lavoratore inviando all’Istituto il certificato medico.

 

Come deve comunicare l’infortunio il lavoratore autonomo

Gli artigiani e i soci titolari, nella loro duplice veste di assicuranti e assicurati, devono denunciare all’INAIL l’infortunio da essi stessi subito entro 2 giorni dalla data del certificato medico che prognostica l’infortunio non guaribile entro 3 giorni. In considerazione della particolare difficoltà in cui può venirsi a trovare il titolare di azienda artigiana al momento dell’infortunio lavorativo, si può ritenere assolto l’obbligo di denuncia nei termini di legge ogniqualvolta il predetto, o il medico curante, invii, nel rispetto dei termini stessi, il solo certificato medico. L’interessato dovrà tuttavia provvedere, appena possibile, a compilare e a trasmettere il modulo di denuncia. In tali casi, non perderà il diritto all’indennità per inabilità temporanea assoluta per i giorni antecedenti l’inoltro del modulo.

In caso di impossibilità del titolare artigiano infortunato di provvedere personalmente alla denuncia entro i termini di legge, l’obbligo di dare immediata notizia dell’evento all’Istituto assicuratore mediante l’inoltro del certificato medico ricade sul sanitario che per primo ha constatato le conseguenze dell’infortunio (obbligo, peraltro, privo di sanzione).

Nell’ipotesi di infortunio occorso a lavoratore agricolo autonomo, l’obbligo di denuncia ricade sul titolare del nucleo di appartenenza dell’infortunato.

 

Come comportarsi in caso di ricaduta?

Se dopo la ripresa dell’attività lavorativa il lavoratore si sente male per motivi conseguenti all’infortunio e torna al pronto soccorso o dal proprio medico, nel certificato rilasciato deve essere specificato che si tratta di ricaduta dall’infortunio già comunicato e tale certificato va inviato sia al datore di lavoro sia all’Inail.

 

 

NB: Ho cercato di condurre la trattazione in modo più sistematico possibile, per rimanere fedele alle norme vigenti, vista la complessità dell’argomento. Tuttavia, l’importanza di questo impone che tutti i lavoratori siano a conoscenza delle norme vigenti, dei loro diritti e che sappiano cosa fare in caso di infortunio o malattia professionale. Il sito ufficiale INAIL, come più volte da me riportato come fonte e riferimento, è facilmente consultabile ed è, ovviamente, completo di tutte le informazioni necessarie: consultatelo.

 

Per approfondire: sito ufficiale INAIL.

 

Si ricorda che chi scrive non vuole sostituirsi ai professionisti medici:

 

ATTENZIONE! Bussola Medica NON dà consigli medici.

Le informazioni sopra riportate e tutti gli articoli del blog hanno solo un fine illustrativo: non costituiscono un consiglio medico, né provengono da prescrizione specialistica. Essi hanno lo scopo di spiegare tematiche mediche in modo comprensibile a tutti, senza, però, avere la presunzione di esaurire l’argomento in poche righe. Vi invito a rivolgervi al proprio medico curante, ai farmacisti e a tutti gli altri specialisti qualificati per chiarire qualsiasi dubbio riguardante la vostra salute. Il rapporto di fiducia, di stima reciproca e di confidenza tra medico e paziente deve essere sempre coltivato e salvaguardato con il massimo impegno possibile.

 

 

photo credit immagine di copertina.

Tanto subbuglio…per nulla!

Primavera: iniziano le allergie! 

Con la stagione primaverile e le frequenti belle giornate iniziano anche i problemi delle persone allergiche: starnuti, naso che cola, prurito oculare. Rappresentando uno dei maggiori problemi di salute pubblica, le allergie colpiscono, infatti, circa il 30% della popolazione, incidendo notevolmente in termini di costi assistenziali e di perdita di ore lavorative (ebbene sì!). Sono tra le patologie croniche più frequenti, sia negli adulti che nei bambini, influendo sulla qualità di vita del paziente, a volte anche molto negativamente.

 

Una reazione spropositata

Insieme alle intolleranze (quelle alimentari sono le più note) le allergie fanno parte delle cosiddette “reazioni da ipersensibilità”. Queste sono reazioni esagerate e dannose, mediate da meccanismi immunologici ben definiti, che si scatenano in soggetti predisposti a seguito dell’esposizione a dosi di sostanze normalmente tollerate dai soggetti normali, provocando la comparsa di sintomi caratteristici.

Mentre le allergie sono sostenute da una risposta esagerata del sistema immunitario del tipo tutto-o-nulla, le intolleranze non hanno niente a che fare con le cellule immunitarie e si scatenano con un meccanismo quantità-dipendente.

 

Questione di anticorpi

Gli anticorpi nell’immaginario comune sono i nostri paladini: difensori contro le infezioni. Essi hanno un ruolo cardine nella nostra immunità: fungono da mediatori tra le cellule immunitarie e i “corpi estranei”, che gli anticorpi riescono a riconoscere come tali. Alcune volte, però, come nel caso delle allergie, innescano un meccanismo dannoso o, per lo meno, eccessiva. La reazione allergica è caratterizzata dall’aumento della produzione di anticorpi delle classi IgE (che il medico potrebbe far dosare negli esami del sangue), condizione che può essere accompagnata da sintomi allergici (atopia – la vera e propria allergia), oppure no (in questo caso si parla di diatesi atopica). Le manifestazioni vanno dall’asma alla semplice ma fastidiosa rinite, da manifestazioni cutanee (orticaria), a quelle oculari (congiuntivite). In casi gravi si può arrivare allo shock anafilattico.

Tutte queste risposte sono determinate dal rilascio di istamina da parte di particolari cellule del sistema immunitario, i mastociti e i basofili. Proprio gli anti-istaminici sono i cardini della terapia delle allergie: questi farmaci ne bloccano l’azione sui tessuti bersaglio, impedendo lo sviluppo dei sintomi. Il medico, in alcune fasi della malattia, potrebbe consigliarvi l’assunzione di farmaci simili al cortisone: il loro utilizzo non deve essere demonizzato, in particolari condizioni e a dosi congrue devono essere anzi preferiti agli antistaminici, perché più efficaci.

Mentre la terapia con steroidi è a totale carico del malato, gli antistaminici sono in parte rimborsabili. La terapia anti-asma, invece, è totalmente rimborsata da SSN: meglio un trattamento adeguato oggi, che un ricovero (più costoso) domani!

 

Piccoli allergeni inalabili

I più comuni sono rappresentati da pollini di alberi, come le Betulaceae (Betulla, Ontano), le Corilacee (Nocciolo), le Cupressacee (Cipresso), le Oleacee (Frassino, Ulivo, Gelsomino) o di erbe come le Graminacee (Gramigna, Orzo, Avena, Segale), la Parietaria. Derivati epidermici di animali (forfora di gatto o cane) oppure Acari, tra cui i più frequenti sono il Dermatophagoides pteronyssius e farinae.

 

Calendario pollinico

Adesso, in Aprile, stanno fiorendo le Betullacee, le Graminacee, mentre scenderanno i pollini delle Corilacee, Parietaria e dei Cipressi. Le Betullacee continueranno fino a Giugno, quando esploderanno anche l’Olivo e la Parietaria. Mentre l’Artemisia e l’Ambrosia fioriranno in piena Estate.

Calendario pollinico: è importante consultarlo per conoscere il periodo di pollinazione della pianta cui si è allergici.

Calendario pollinico: è importante consultarlo per conoscere il periodo di pollinazione della pianta cui si è allergici.

 

Accorgimenti utili

Esistono alcuni semplici accorgimenti che possono ridurre la comparsa di manifestazioni allergiche: si tratta soprattutto di misure di buon senso, che ognuno di noi potrebbe già realizzare anche inconsapevolmente.

Ridurre l’esposizione al polline: consultate i calendari pollinici e i bollettini (vedi sopra) per conoscere il periodo di pollinazione delle piante cui siete allergici e per essere sempre aggiornati sulle concentrazioni dei pollini nel vostro territorio. La loro consultazione è utile anche in caso vogliate spostarvi per le vacanze o nel fine settimana, per scegliere il luogo più adatto alle vostre esigenze. Ricordate che la concentrazione dei pollini è molto maggiore nelle giornate soleggiate, secche e ventilate: evitate di uscire di casa in questi momenti, preferendo una passeggiata dopo un’abbondante pioggia, che favorisce la deposizione del polline al suolo. Dopo una passeggiata all’aria aperta, lavatevi sempre il viso, i capelli e le parti del corpo esposte; cambiatevi d’abito, lavando gli indumenti con i quali siete usciti: il polline si deposita sia sul corpo, sia sui vestiti. Lavate anche il pelo dei vostri animali domestici se liberi di entrare in casa dopo essere stati all’aperto. Evitate, inoltre, di stendere i panni all’aperto.

Aria pulita: mantenete sempre l’aria pulita negli ambienti in cui state. Evitate di aprire le finestre dell’abitazione e dell’ufficio nelle ore centrali della giornata e utilizzate preferibilmente condizionatori d’aria. Installate, se necessario, dei filtri appositamente studiate per trattenere le particelle polliniche (filtri HEPA).

Pulite bene casa: la pulizia costante e attenta della casa e di tutti gli ambienti frequentati è di fondamentale importanza per le persone allergiche, sia ai pollini, che agli acari. Passate l’aspirapolvere almeno settimanalmente, lavate le lenzuola almeno a 50° ed evitate tappeti o moquette. Esistono, inoltre, speciali coprimaterassi e copricuscini anti-acaro, oppure prodotti specifici acaricidi per la pulizia dei tappeti o dei divani.

Terapia? Subito! Se sono previsti elevati livelli di polline, assumete la terapia prima che compaiano i fastidiosi sintomi allergici.

 

 

Allergie non alimentari e allergie crociate

Il fatto che un soggetto soffra un’allergia per esempio alle Graminacee, che si manifesta con congiuntivite o rinite, non implica necessariamente che egli non debba più consumare alimenti contenenti grano, orzo, avena, per paura di manifestazioni allergiche. Anzi: questa evenienza è molto rara, per cui è possibile mangiare tutti i tipi di cereali!

Mele: frequentemente associate a cross-rezioni in soggetti allergici alle Betulaceae.

Mele: frequentemente associate a cross-rezioni in soggetti allergici alle Betulaceae.

Potrebbe capitarvi di sentir parlare delle allergie crociate: alimenti, soprattutto vegetali, possono scatenare reazioni allergiche come prurito o gonfiore della labbra. Le più frequenti allergie crociate possono (non è la regola) manifestarsi per consumo soprattutto di mele nei soggetti allergici alle Betullacee, ma anche di pere, pesche, ciliegie. Di nocciola e pesca-noce nei soggetti allergici alle Corylacee (nocciolo). Diffuse sono anche le reazioni crociate all’assunzione di melone e kiwi, più raramente pomodoro, nei soggetti allergici alle Graminacee. Anche le farine di orzo, frumento, kamut possono dare reazioni crociate con le Graminacee, infatti sono positive al prick-test. Tuttavia è abbastanza improbabile che si verifichino, perché gli alimenti contenenti tali farine sono ingeriti dopo cottura, che rende l’alimento tollerato. L’allergia alla Parietaria può dare reazione crociata con il basilico, la ciliegia, il melone; mentre quella all’artemisia e all’ambrosia con mela e melone. Molto frequente è la reazione crociata con i crostacei, molluschi e lumache per gli allergici agli acari, e quella con i frutti esotici (banana, avocado, kiwi), ma anche mela, fico, castagna, per gli allergici al lattice. Molto rara, invece, la cross-reazione con l’assunzione delle uova per i soggetti allergici alle piume d’uccello.

 

Rivolgetevi al proprio Medico Curante e allo Specialista per una diagnosi certa, ma soprattutto per escludere una possibile patologia asmatica e impostare una terapia corretta.

 

 

Per maggiori informazioni consultate i siti dedicati:

Associazione Italiana di Aerobiologia

 

 

photo credit immagine polline. 

 

Ciarlatani! Come orientarsi nella divulgazione medica on-line

Come si fa a distinguere un’informazione medica corretta? Com’è possibile verificare se le informazioni ascoltate ad una conferenza o in tv provengono da un esperto affidabile? Come si fa a capire se ciò che ci propone un sito internet è affidabile o meno?

 

Un tempo era chiamato ciarlatano chi sulle piazze toglieva denti ed esercitava pratiche di guaritore, approfittando della fiducia delle persone per ottenere denaro.

 

I ciarlatani erano coloro che esercitavano pratiche di guarigione, approfittando della fiducia delle persone per ottenere denaro.

I ciarlatani erano coloro che esercitavano pratiche di guarigione, approfittando della fiducia delle persone per ottenere denaro.

 

Nella definizione più moderna, chi si spaccia per quello che non è, chi cerca di ottenere guadagno dalla propria informazione tendenziosa.

 

La definizione secondo il Vocabolario Treccani on-line.

La definizione secondo il Vocabolario Treccani on-line.

 

La definizione secondo il Vocabolario Treccani on-line.

La definizione secondo il Vocabolario Treccani on-line.

 

 

Come riconoscere i ciarlatani?

Prenderò spunto da un bellissimo articolo di Silvia Bencivelli, pubblicato nel suo blog il 14 maggio del 2012.

 

Regola numero 1: lo scienziato sedicente eterodosso, non ufficiale, indipendente, nel 99% sei casi è un ciarlatano.

Regola numero 2: nella scienza, e nella medicina in particolare, i ciarlatani sono molto pericolosi.

Regola numero 3: i ciarlatani tendono a chiedere soldi. Alle persone, alle istituzioni, alla politica. Lo fanno raccontando fandonie sugli interessi degli altri, nascondendo accuratamente i propri.

Regola numero 4: un giornalista che dà voce al ciarlatano, inseguendo lo scoop a tutti i costi, dicendo “guardate, è un genio, ma nessuno gli da ascolto”, farà un ottimo share, ma sta facendo malissimo il suo lavoro. Idem per il politico.

Regola numero 5: il ciarlatano muore dalla voglia di essere intervistato.

Regola numero 6: chiedersi sempre

  • Che cosa pensano gli altri scienziati/medici;
  • Per chi lavora il ciarlatano?
  • Chi paga le sue ricerche?
  • Che cosa ha pubblicato finora? E dove?
  • Chi ci guadagna da quello che propone?

 

Non è assolutamente facile dare risposta a queste domande, soprattutto per chi non è del mestiere. Tuttavia vi invito a fare particolare attenzione alle informazioni presenti su internet: la rete è un contenitore dove finiscono una marea di schifezze mediche. Come barcamenarsi?

 

Affidarsi ai siti riconosciuti

Sembra banale, ma il consiglio migliore che posso darvi per non finire nella morsa dei dis-informatori scientifici e della pseudo-medicina è verificare che il sito sia dichiarato come validato. Farlo è semplicissimo, basta cercare il simbolo HONcode.

 

Il simbolo HONcode certifica che le informazioni mediche contenute nel sito sono verificate da esperti esterni, dunque affidabili.

Il simbolo HONcode certifica che le informazioni mediche contenute nel sito sono verificate da esperti esterni, dunque affidabili.

 

Si tratta di una commissione di professionisti che valuta l’affidabilità delle informazioni sulla salute e sulla medicina presenti su internet. Consiste in una vera e propria certificazione che attesta l’assoluta veridicità e validità delle informazioni contenute nel sito. L’obiettivo della certificazione è quella di fornire un’informazione medica di massima qualità ed affidabilità. Inoltre dimostra in maniera inequivocabile l’intento del sito di pubblicare delle informazioni in maniera totalmente trasparente. Questo favorirà non solo l’oggettività delle informazioni, ma anche l’utilità delle informazioni mediche pubblicate.

 

Monitoraggio attento

Il curatore del sito deve richiedere la certificazione HONcode. Una volta richiesta la commissione eseguirà delle visite periodiche nell’arco di un anno (ma ripetute anche successivamente al primo accreditamento), volte a valutare il rispetto dei principi disposti dalla commissione e validi a livello internazionale.

In aggiunta a questo la commissione valuta anche le segnalazioni giunte da qualsiasi utente internet che ritenga opportuno segnalare delle scorrettezze nella pubblicazione di informazioni mediche. In questo modo è possibile monitorare l’intera rete ed eventualmente impedire la pubblicazione di informazioni errate.

 

I principi

AUTORI

Ogni informazione medica fornita ed ospitata dal sito sarà scritta unicamente da esperti dell’area medica e da professionisti qualificati, a meno che un’esplicita dichiarazione non precisi che qualche informazione provenga da persone o organizzazioni non mediche.

 

COMPLEMENTARIETÀ

Le informazioni diffuse dal sito sono destinate ad incoraggiare, e non a sostituire, le relazioni esistenti tra paziente e medico.

 

PRIVACY

Le informazioni personali riguardanti i pazienti ed i visitatori di un sito medico, compresa l’identità, sono confidenziali. Il responsabile del sito s’impegna sull’onore a rispettare le condizioni legali di confidenzialità delle informazioni mediche in rispetto delle leggi del paese dove il server ed i mirror-sites sono situati.

 

ATTRIBUZIONE: DATA E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

La provenienza delle informazioni diffuse devono essere accompagnate da referenze esplicite e, se possibile, da links verso questi dati. La data dell’ultimo aggiornamento deve apparire chiaramente sulla pagina (ad esempio in basso ad ogni pagina).

 

GIUSTIFICAZIONE

Ogni affermazione relativa al beneficio o ai miglioramenti indotti da un trattamento, da un prodotto o da un servizio commerciale, sarà supportata da prove adeguate e ponderate secondo il precedente Principio 4.

 

TRASPARENZA

Gli ideatori del sito si sforzeranno di fornire informazioni nella maniera più chiara possibile e forniranno un indirizzo al quale gli utilizzatori possono chiedere ulteriori dettagli o supporto. Questo indirizzo e-mail deve essere chiaramente visibile sulle pagine del sito.

 

FINANZIAMENTO

Il patrocinio del sito deve essere chiaramente identificato compresa le identità delle organizzazioni commerciali e non-commerciali che contribuiscono al finanziamento, ai servizi o al materiale del sito.

 

PUBBLICITÀ E POLITICA EDITORIALE

Se la pubblicità è una fonte di sovvenzione del sito deve essere chiaramente indicato. I responsabili del sito forniranno una breve descrizione dell’accordo pubblicitario adottato. Ogni apporto promozionale ed eventuale materiale pubblicitario sarà presentato all’utente in modo chiaro da differenziarlo dal materiale originale prodotto dall’istituzione che gestisce il sito.

 

Scorrete rapidamente la pagina…

…e verificate se sia presente il simbolo. Se c’è potete stare tranquilli che le informazioni riportate sono corrette e finalizzate alla vostra salute.

 

In caso contrario, cambiate sito.

 

 

Enrico Scarpis

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photo credit immagine del ciarlatano sulla piazza